Tu hai scritto sia opere pubblicate in e-book sia romanzi e racconti che hanno visto la luce sulla carta
De Matteo alla NextCon 2007. Foto ed elaborazione di Giorgio Raffaelli.
De Matteo alla NextCon 2007. Foto ed elaborazione di Giorgio Raffaelli.
stampata. C’è differenza dal punto di vista dello scrittore scrivere sapendo che la tua storia andrà a finire su un supporto piuttosto che su un altro? 

Per quanto mi riguarda no, se non su un piano puramente emotivo, che comunque incide più sul lancio che sul lavoro di scrittura in sé, e quindi sul risultato finale dell’opera. Quando si scrive per un editore digitale si ha innanzitutto la certezza di poter mettere le mani sulla revisione fino all’ultimo minuto utile, o quasi. E nel mio caso così è stato sia per Codice morto (pubblicato da Kipple Officina Libraria), sia per Terminal Shock (edito da Mezzotints Ebook): anche grazie alla disponibilità dello staff delle due case editrici è stato addirittura possibile apportare delle correzioni sul pre-impaginato, prima che il file venisse consegnato alla piattaforma di distribuzione. Cosa che ovviamente non sarebbe stata possibile se le copie del libro fossero state stampate. L’editoria digitale accorcia i tempi e questo fa sì che l’autore arrivi sulla promozione del libro senza dover sostenere il classico tempo di latenza imputabile alla stampa e alla distribuzione, quindi senza la possibilità di maturare un vero distacco dall’opera. Ma a parte questo, non credo ci siano delle differenze. Il lavoro di scrittura è sempre quello. L’e-book riesce a valorizzare altrettanto bene sia i romanzi sia i formati narrativi più brevi del romanzo, quelli che negli ultimi decenni – specie con l’invasione dei mammut in libreria – sono sempre stati più penalizzati, come la novella e il racconto. Forse è questa l’unica vera differenza: oggi uno scrittore può scrivere un romanzo breve sapendo che potrà trovare una collocazione editoriale, senza doverlo necessariamente infarcire di riempitivi per farlo diventare un romanzo vendibile in libreria. 

Per quanto concerne il rapporto tra e-book e fantascienza, pensi che il genere possa trovare una nuova linfa attraverso la diffusione di libri in digitale? 

Per il discorso che facevamo credo proprio di sì. Oggi tendiamo a sottovalutare quante delle pagine migliori scritte nella storia della fantascienza appartengano a racconti o novelle. E se i racconti continuano a trovare comunque un mercato grazie a raccolte, antologie o riviste, spesso non è così per i romanzi brevi, con qualche rarissima e pregevole eccezione (la collana Odissea Fantascienza di Delos Books, per esempio). L’e-book può valorizzare al meglio opere di dimensioni intermedie, che altrimenti avrebbero vita dura a trovare un mercato. 

Pensi che la fantascienza in e-book possa trarre giovamento quando in un libro digitale si potranno inserire filmati, gallerie di immagini, suoni e rendere la storia multimediale in ogni senso? 

Non lo so, sono indeciso. Qualche tempo fa sarei stato più propenso a credere che l’editoria elettronica avrebbe potuto portare a una completa ridefinizione del concetto di libro in termini multimediali. Ma ora tendo a valutare i costi come superiori ai benefici: per cominciare, i file non potrebbero pesare pochi MB come adesso, quindi tablet ed e-reader richiederebbero capacità di archiviazione di qualche ordine di grandezza superiori rispetto ai dispositivi oggi in commercio; e poi il costo lieviterebbe in maniera sensibile. Per non parlare della necessità di ridefinire il ruolo dell’autore (che potrebbe diventare molto più vicino a quello di un autore cinematografico, fondendo le figure di regista e sceneggiatore) e di rivoluzionare la struttura produttiva delle case editrici, che non mi danno l’impressione di essere tra gli ambienti più propensi all’innovazione, soprattutto qui in Italia. Molto dipenderà comunque da come deciderà di muoversi Amazon, che ha consolidato sul mercato degli e-book una posizione tale da poter dettare legge nella definizione di nuovi standard editoriali.La fantascienza? Potrebbe giovarne, certo. Come ogni altro genere.

Parliamo di Terminal Shock, un romanzo che si potrebbe definire sia come un’opera legata sia alla new space opera sia alla fantascienza hard. Sei d’accordo? 

Al 100%. Anzi, parlerei di una cyberspace opera, se mi passi la battuta, considerando l’importanza che rivestono nell’ambientazione le nozioni di realtà aumentata e internet degli oggetti, per non parlare di tutte le altre declinazioni del concetto di network prospettate nelle sue pagine: reti di corpi, reti di menti, ma non solo. E c’è un enigma cosmico, quindi direi che ricadiamo sicuramente anche nel bacino di attrazione della hard sci-fi, un genere che ho sempre apprezzato molto da lettore, ma con cui nelle storie che scrivo non mi sono cimentato spesso quanto mi sarebbe piaciuto.