Oramai Francesco Troccoli sta diventando un “regular guest” delle pagine di Delos, e se avete ancora bisogno che vi rammentiamo chi sia allora vuol dire che non seguite le vicende della fantascienza italiana.Lo intervistiamo in occasione dell'uscita del suo secondo romanzo per i tipi di Armando Curcio Editore Falsi Dei che prosegue la saga di Tobruk Ramarren iniziata con Ferro Sette.In Falsi Dei la lotta contro i Longevi continua. Sotto le insegne dello Stato Libero di Haddaiko, la nave spaziale Hebron è diretta verso un lontano sistema ai confini della Galassia. A bordo, a fianco del Presidente Hobbes, Tobruk Ramarren è a capo di un Corpo di Spedizione di “dormienti”, in stato di ibernazione, che avrà il compito di insegnare il sonno alla popolazione indigena. Ma un’inspiegabile contaminazione e un attacco improvviso costringono la nave alla deriva, scagliandola in un pianeta ignoto e dimenticato. Sulla superficie del Nuovo Mondo, il Corpo si imbatterà in primitive popolazioni oppresse dal terrore per le divinità che lo dominano. Sarà dunque molto alto il prezzo che Tobruk Ramarren dovrà pagare per scoprire la verità della storia umana.
Beh, iniziamo l'intervista due righe per presentarti ai lettori non troppo attenti, forse...
Che dire? Ogni anno che passa sono sempre più contento della scelta fatta nell’ormai lontano 2008, ovvero lasciare la multinazionale in cui lavoravo per dedicarmi a tutt’altro. Scrivere, in primis. Tra “Ferro Sette” e “Falsi dèi” è intercorso un anno e mezzo... ed eccoci qui.
Di solito per i cantautori il secondo album è il più difficile perché per il primo ci sono stati anni di silenziosa preparazione. Per te il secondo romanzo è stato simile?
Ho iniziato a scrivere il secondo romanzo il giorno in cui da Curcio mi dissero che avrebbero volentieri preso in esame la possibilità di pubblicare un sequel. Come per Ferro Sette, la genesi della scrittura di Falsi dèi è stata perciò poco premeditata e molto “emozionale”.
Riguardo al mestiere di scrivere, sei più un “plottatore” o più un “cesellatore di stile”?
Penso che ciascuno di questi due attributi, preso singolarmente, sia necessario ma non sufficiente a creare una storia buona e ben narrata. Nella mia scrittura miro sempre a mettere a frutto entrambe le attitudini; ai lettori sta giudicare in che misura ci riesca in ogni romanzo.
Torniamo a Ferro Sette, come giudichi l'accoglienza di pubblico e critica e cosa ti aspetti che succeda con Falsi Dèi?
Su “Ferro Sette” ho avuto riscontri assai lusinghieri, sia di pubblico che di critica, che hanno fortificato l’intenzione del sottoscritto e dell’editore a proseguire su questa strada. Il che, considerati la precaria salute dell’editoria di fantascienza e il fatto che Curcio è un editore generalista, rappresenta un ottimo risultato. Spero che Falsi dèi risulti all’altezza delle aspettative generate dal romanzo precedente.
Come proseguono le vicende di Tobruk in questo libro (ovviamente evitando spoiler sia sul primo che sul secondo volume)?
Se il precedente romanzo era la storia di una ribellione all’ordine precostituito, in questo caso si tratta di un’avventura del tutto diversa, nella quale Tobruk dovrà dimostrare (anche a se stesso) la fondatezza delle scelte di campo fatte in passato. Il destino di questo personaggio è che non trova mai le certezze che cerca, e questo lo mantiene in uno stato di perenne crisi, il che si traduce per me in un fertile terreno narrativo.
Ora che lo stai esplorando più approfonditamente, come definiresti il mondo di Tobruk?
è un universo che il progresso ha reso ambiguo, minaccioso e inaffidabile, la cui ricostruzione non può che partire dai rapporti umani con i singoli individui. Una rivoluzione personale, la sola possibile, che parte dal basso. è un processo che in Tobruk è suo malgrado iniziato quando era prigioniero a Ferro Sette e che ora, che gode della libertà, è ancor più imperativo. La libertà implica infatti la responsabilità delle proprie scelte. Forse è questo il senso di questo secondo romanzo.
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