Alberto Cola. Devo ammettere che è stato "strano". Insomma, ero felice perché una volta tanto non avrei dovuto scrivere, poi ho scoperto che avrei dovuto lavorare il triplo. Però confesso che curare un'antologia mi ha dato la possibilità di vedere le cose da una prospettiva differente e concordo con Francesco nel dire che l'elemento partecipativo con una pluralità di autori è stato speciale, in un certo senso. A parte l'idea, tutta farina del sacco di Francesco, ci si è sentiti parte di un progetto condiviso e non di qualcun altro.
La frase/scena di un racconto che vi è rimasta impressa (e non provate a dribblare la domanda).
Francesco Troccoli. L'ondata migratoria degli Italiani in Albania in "Nove anni", di Giulia Abbate, il racconto che apre il libro. Un'immagine paradossale che l'autrice ha saputo rendere con una credibilità che impreziosisce il volume sin dalle prime pagine.
A. Ne scelgo due, molto diverse fra loro (eppure simili in un certo qual modo). La partenza del razzo nel racconto "Meno dieci" di Gabriele Falcioni, per tutto ciò che intimamente rappresenta in chi vi assiste; la fuga dei bambini con un camion che a malapena uno di loro sa guidare in "Terzo mondo", di Alessandro Morbidelli, sintesi perfetta di speranza e determinazione, quel che volevamo dai racconti.
Come si esce da una crisi: più forti o da sopravvissuti?
Alberto Cola. I personaggi nei racconti di Crisis si contraddistinguono perché hanno un punto in comune: pensano di essere sopravvissuti, bene o male, ma a un certo punto capiscono che sopravvivere non basta e allora emerge quella forza che è parte imprescindibile del Dna umano. Le difficoltà temprano, ma l’uomo non sempre sceglie di adattarsi. Ed è il loro caso.
Francesco Troccoli. Sono d’accordissimo con Alberto; a me pare che il cardine del nostro libro sia proprio questo: i protagonisti dei racconti non si accontentano di sopravvivere, ma vogliono iniziare (o riprendere) a vivere. È questo il propulsore comune alle varie storie. Dalla crisi, in questo modo, si esce “più umani”.
Un maestro delle Crisi nella fantascienza è stato Ballard, che ne pensate?
Alberto Cola. In una domanda hai già detto tutto. Lasciando per un attimo da parte romanzi come “Terra bruciata” o “Deserto d’acqua” (ma in fondo, “Crash” non è una crisi in embrione?), giusto per citarne un paio, trovo molto calzante quel piccolo gioiello assoluto che è “Condominium”. La crisi applicata in un ambito limitato, come fosse un laboratorio. Per quanto mi riguarda, l’aspetto sociologico è quello più importante da sviscerare, e i nostri autori ci sono riusciti.
Francesco Troccoli. Davvero un maestro della crisi, non solo di ambientazione strettamente fantascientifica, e in particolare della crisi interiore ben più che di quella materiale, più tangibile. D’altra parte, mi pare innegabile che le crisi narrate da Ballard, sotto l’influenza della cultura (anche psicanalitica) dei decenni scorsi, partendo dalla denuncia e dal rifiuto dell’esistente si traducessero in una modificazione per lo più regressiva dell’essere umano. Penso invece che oggi, grazie al continuo tentativo di superare gli esiti stagnanti delle “grandi” rivoluzioni, il terreno culturale e sociale sia foriero di nuove idee, che fondino la possibilità di pensare a un processo interiore, e quindi anche psichico, di trasformazione (individuale e di conseguenza collettiva) dell’essere umano in senso “non regressivo”. In questo, e qui faccio eco ad Alberto, gli autori di questa raccolta sono spesso riusciti, nella misura in cui hanno saputo descrivere un credibile “progresso”, perlomeno nell’ambito del vissuto soggettivo del protagonista, ma talora, e a volte di conseguenza, anche in quello sociale nel suo insieme.
Adesso che avete sperimentato la coppia come curatori, che ne pensereste di un romanzo a quattro mani?
Alberto Cola. Non sono pratico dell’argomento e non so cosa ne pensi Francesco. Di mio posso solo dire di essere sufficientemente anarchico con me stesso, quando scrivo, che un altro/a rischierebbe di mandarmi al diavolo dopo un giorno solo.
Francesco Troccoli. Sono d’accordo. La scrittura collettiva è un’esperienza che, dietro sollecitazione di un paio d’amici, ho già tentato. Il solo esito è stato scoprire che non fa per me e consolidare un’idea che avevo già: la scrittura si nutre di solitudine. La condivisione, dal mio punto di vista, riguarda solo il prodotto finito, quando (e se) arriva la pubblicazione.
Insomma cosa state scrivendo ora?
Alberto Cola. Mi sto dedicando alla narrativa per ragazzi, un pallino che ho da tempo.
Francesco Troccoli. Un romanzo breve di ambientazione fantastico/surreale e vari racconti. E poi c’è dell’altro che bolle in pentola di cui è davvero troppo presto per parlare.
Spot pubblicitario per Crisis.
Alberto Cola. Non avrai altra Crisis all’infuori di me.
Francesco Troccoli. Centottantadue di massima, nove cavalli, solo undici euro e novanta, chiavi in mano.
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