— Si è mosso — sibilò Tanitha, con la voce rotta dal panico.— Come?— Ha avuto un fremito. Impercettibile ma chiarissimo. — Fece una pausa mentre si portava una mano alla bocca. — Mio Dio, si sta risvegliando.
Undici
Il comandante Roney aveva cercato ripetutamente di mettersi in contatto con la base militare di settore più vicina per raccogliere informazioni, ma le comunicazioni spaziali non erano possibili in quanto disturbate dalle emanazioni elettromagnetiche del sole di quel sistema, una stella di quarta classe ad alta variabilità di spettro.
Ender Dubigan non si faceva vivo, e quando risultò evidente che l’oggetto sconosciuto si stava dirigendo verso Amalf IV, il militare decise di stabilire lo stato di emergenza e ordinò l’evacuazione del pianeta.
Il personale civile contava poco più di un centinaio di persone, e i militari in servizio erano una trentina. Eppure Roney sapeva che le attrezzature che abbandonava su Saline e Picasso avevano un valore enorme, per cui prima di fuggire da quel sistema doveva cercare di difenderle a tutti i costi e recuperarle, anche se questo avrebbe richiesto del tempo.
Quando gli arrivò l’ultimo rapporto dalla postazione di rilevamento a lungo raggio ebbe un gesto di stizza.
— Maledizione a te, Dubigan! — sibilò guardando l’orologio e rendendosi conto che mancavano ancora poco meno di otto minuti allo scadere del tempo limite che aveva fissato.
Al di là di quella soglia non sapeva esattamente che cosa avrebbe fatto: o fuggire o attaccare. Non credeva ci fossero vie di mezzo.
Dodici
La prima cosa che Ender avvertì, prima del grido di orrore di Tanitha e dello scricchiolio sinistro delle ali del mostro che si allargavano, fu un potente richiamo empatico, un’onda mentale fragorosa annunciata da un sibilo che ingigantì nella sua testa fino a farlo inginocchiare a terra con le mani strette alle tempie.
Il richiamo non era composto da parole. Era un solo, primordiale segnale inviato dalla creatura nello spazio che si stava avvicinando al pianeta.
Mentre un filo di sangue gli sgorgava dall’orecchio sinistro, Ender spalancò gli occhi e osservò il mostro che si risvegliava.
Fuori dal suo nido, la creatura era ancora più alta e imponente. Si reggeva su due lunghe e robuste zampe piegate all’indietro come quelle delle cavallette, e tenendo il muso sollevato verso l’alto non degnò lui e Tabitha di uno sguardo.
Ender respirò a fondo un paio di volte prima di riuscire a stringere i denti e a costringersi ad alzarsi. Nel suo cranio il richiamo mentale pulsava e si ripeteva in un’unica, possente radiazione di energia. Quando vide il mostro allargare le ali per raccogliere il vento che spazzava il pianoro, comprese che quello che stava accadendo in quel’angolo dell’universo era qualcosa che non li riguardava, un atto in cui la prepotente curiosità umana non avrebbe dovuto intromettersi.
Kay-Won e Silvia Waas erano morti, lo seppe con assoluta certezza quando fu di nuovo ritto sulle gambe, e lui non aveva molto tempo per portarsi in salvo insieme a Tanitha, anche se la creatura non avrebbe cercato di fermarli.
Vide che spiccava un salto prodigioso nel vuoto e risaliva le correnti battendo vigorosamente le ali. Sapeva che sarebbe salita fino a quando l’atmosfera fosse stata in grado di sorreggerla, e là avrebbe atteso l’arrivo della creatura dello spazio inviando un segnale guida. Lo stesso che lui aveva già percepito al suo arrivo su Amalf IV.
Muovendosi freneticamente, con le tempie che gli facevano male, Ender ristabilì il collegamento con il comandante Roney. Il tempo a sua disposizione era quasi scaduto.
— Fate evacuare il pianeta! — gridò non appena il viso di Roney comparve sullo schermo.
— Abbiamo già provveduto — rispose il militare con una smorfia.
— Anche tutte le attrezzature?
— Per quello ci vorrà tempo, e comunque dopo…
— Comandante! — l’interruppe Ender. Il grido empatico era sempre più forte e straziante, e lui doveva stringere i pugni per resistere al dolore. — Tra poco non resterà niente delle nostre apparecchiature, se non le fate smantellare. Questo pianeta dev’essere messo off-limits. Non è possibile planiformarlo.
Roney era visibilmente perplesso.
— Cerchi di spiegarsi — disse. Ender sapeva che la conversazione era registrata: il militare non voleva assumersi la responsabilità di decisioni che avrebbero potuto portarlo davanti alla corte marziale.
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