— Per quanto mi riguarda direi che assomigliano a delle gigante­sche balene — provò a dire studiando il rilievo grafico ma compren­dendo che il suo giudizio non era del tutto corretto. — Non vedo la coda, però. La pinna caudale.— Esatto — confermò Wyatt. — Per questo abbiamo scartato subito l’ipotesi delle balene, o comunque di animali simili. — Sullo schermo vi furono alcuni rapidi ingrandimenti che misero in rilievo la parte posteriore dell’animale. — Questa ricostruzione è ancora rozza e incompleta, ma può aiutarci a capire. Che cosa ne dice di quella struttura cartilaginea spessa quasi mezzo metro? A che diavolo può servire a una bestia acquatica? Inoltre, non c’è trac­cia di branchie, di sfiatatoi, di polmoni o apparati del genere. Non riusciamo a capire come e che cosa respirassero, questi bestioni.Ender si rendeva conto che il dilemma che gli porgeva Wyatt era davvero affascinante, eppure non poteva rientrare subito alla base. Aveva un lavoro da svolgere su quell’isola, e fino a quando il ronzio che lo tormentava non si fosse estinto, lui non avrebbe potuto concentrarsi su altro.

Fu in quel momento, mentre cercava di spiegare a Wyatt che gli era impossibile rientrare, che udì esplodere due colpi di fucile in rapida successione, seguiti, dopo una manciata di secondi, da un terzo.

Colpi che provenivano dal punto in cui era ancorato il jet­craft.

Sei

Aggirarono il dirupo a rotta di collo, trovarono un punto da cui era possibile scorgere la sagoma filante del jetcraft e si accorsero che era ancora alla fonda, tranquillo sulle acque immote della baia. Non c’era traccia di Kay-Won e della Waas, ma Tanitha disse che potevano essere di sotto, nelle cabine o nella piccola cambusa del battello.

Con un grugnito Ender la costrinse a precipitarsi insieme a lui verso il gommone. A mano a mano che scendeva verso l’acqua cri­stallina sentiva il ronzio nella sua mente farsi sempre più intenso, come se un grosso sciame d’api fosse in avvicinamento.

Quando Tanitha l’aiutò a mettere in acqua il gommone e ad accen­dere il motore, si rese conto che la creatura aliena che aveva perce­pito da lontano e che aveva localizzato in quell’isola doveva essersi destata. La sua era stata fin dall’inizio un’impressione estremamente nitida, confermata poi da quanto gli aveva detto Silvia Waas.

C’era una creatura senziente sul pianeta, e la traccia empatica che lui percepiva come una debole radiazione di fondo conduceva a L-24. La creatura (ma questa era stata una sua deduzione dettata dall’esperienza) doveva essere immersa in un sonno profondo o in uno stato simile al letargo.

Eppure, anche così la complessità delle sue trame di pensiero era riuscita a strappargli il sonno per lunghe notti. Ender non avrebbe potuto resistere a lungo a quella pressione: doveva andare a cercarne la fonte e, se possibile, stabilire un contatto.

Ma adesso i colpi di fucile che aveva sentito indicavano che anche la creatura doveva essersi accorta della loro presenza. E aveva reagito in qualche modo.

— Più veloce! — ringhiò rivoltò a Tanitha Bekaram che sedeva al ti­mone. — Accelera!

In meno di cinque minuti accostarono il jetcraft e furono a bordo, ma si resero conto subito che era accaduto qualcosa.

Nell’aria stagnava l’odore intenso della polvere da sparo, e quando Ender salì la scaletta di corda impugnando la pistola, quasi scivolò sulla materia viscosa che imbrattava il ponte d’imbarco. Una materia biancastra che sembrava tela di ragno inumidita in inchiostro trasparente.

Tanitha Bekaram, dietro di lui, avanzava tenendosi i gomiti con le mani, con l’espressione disgustata e spaventata per quello che vedeva. All’improvviso inciampò in qualcosa, abbassò lo sguardo e lanciò un grido. Ender si avvicinò, ma inorridì quando vide quello che c’era accanto ai piedi della ragazza. Si trat­tava di un braccio umano, strappato a forza dal tronco all’altezza della spalla. La testa dell’omero, bianca e innaturale, raccolse un rag­gio di sole e lo rimandò insieme al bagliore sinistro del sangue di cui era macchiata.

Ender riuscì ad afferrare Tanitha appena in tempo, quando la sua giovane assistente crollò a terra priva di sensi.

Sette

 A parte quell’umore biancastro e viscoso che si era come cristal­lizzato sotto l’azione del sole, il jetcraft era intatto. Ender condusse Tanitha sotto coperta e le diede da bere alcune gocce di rigenerante, poi collegò il terminale portatile alla consolle dell’idrogetto. L’upload dei dati dal computer del suo laboratorio su Picasso fu istanta­neo.

Ender si rese conto che gli ingegneri planiformanti sta­vano facendo un buon lavoro: tutto il pianeta era stato scandagliato, e i risultati erano sorprendenti. Non esistevano forme di vita vegetale o animale, niente che fosse più complesso di alcune varietà di alghe marine e dei microorganismi che formavano il planc­ton.