Prima di questo racconto, lo strano interesse che avevo per Petra Pan stava nella sua abilità e nella camicetta nera con le stelline bianche stampate; che quando toglieva prima di indossare il camice sembrava che la notte si stesse spogliando. Lei che la notte non poteva vederla dalla terra, sotto le nuvole di cenere.
Una sera d'inverno sono sceso prima della fine del turno proprio per osservarla mentre si cambiava.
Ricordo che quella settimana i venti era stati troppo gentili per tenere lontana la cenere dai dirigibili. Dovemmo perfino chiedere l'autorizzazione per modificarne la quota, e tutti quanti eravamo così scarichi che molti avevano temuto di non farcela a tornare giù. Ma io dovevo vedere Petra Pan, e allora planai lento, quasi scarico ma felice, allargando al massimo le ali prima di scomparire nei grossi cumulonembi cinerei affinché mi sporcassi perbene. Raccolsi tanta di quella fuliggine che da grigio divenni nero e tanti di quei detriti carboniosi che mi si irrigidirono anche le epicicloidali delle dita. Quando uscii dalla cenere, la città mi apparve umida e accesa, con le sue stelle marce rovesciate nei palazzi di granito, e svicolai tra le ciminiere e le colonne di fumo buio per appollaiarmi silenziosamente sul davanzale di rientro proprio mentre Petra Pan entrava dalla porta e si girava verso l'armadietto col suo nome.
So per certo che gli esseri umani hanno difficoltà ad accettare l'aspetto di una donna come Petra Pan, ma io non sono un uomo, quindi rimasi in silenzio a osservarla.
Aprì l'armadietto, fece scivolare il giaccone dalle spalle e lo mise su una gruccia, poi iniziò a sbottonarsi la camicetta stellata con la lentezza di chi possiede una sola mano. Mi offriva il profilo sinistro ed ero sicuro che non riuscisse a vedermi, dato che quell'occhio è cieco, però sorrise mentre si spogliava, e siccome non c'era motivo per quell'espressione capii che si era accorta di me. Cercai di farmi più piccolo, ma lo scricchiolio metallico del carapace non fece che accrescere il mio imbarazzo.
Quando Petra Pan raggiunse l'ultimo bottone, le stelle bianche scivolarono via insieme alla stoffa nera come la notte, piegandosi in decine di soffici risvolti.
Fu un effetto meraviglioso. Le migliaia di astri sopra le nuvole di cenere non potranno mai paragonare la loro lucentezza allo spettacolo di quel momento.
Petra Pan rimase a torso nudo il tempo necessario a indossare il camice grigio da lavandaia. In quei pochi secondi cercai di interpretare le sensazioni che provano gli uomini di fronte alla esposizione di un corpo femminile slanciato come quello di Petra Pan, ma non trovai niente nella sua nudità; anche se avesse avuto entrambe le braccia. I miei occhi seguirono invece la camicetta di stelle che fece compagnia al giaccone sulla gruccia e poi sparì dietro l'anta dell'armadietto.
– Se tu non saresti un gigantesco coso di metallo, dico che sono stata appena spiata – disse Petra Pan di schiena, sgrammaticata e divertita, lisciandosi il camice. La manica sinistra senza braccio dondolò morbida.
Io feci finta di niente, anzi girai la testa di centottanta gradi verso la notte della città. Vidi la cenere scendere in fiocchi insieme alla neve in una cascata di puntini bicolori in contrasto col giallo malato delle finestre. Però sentii che Petra Pan si avvicinava. Strinsi ancora di più le ali sul carapace e lo stridio dei metalli mi innervosì.
– Ce l'ho con te – disse ancora con quella voce che pretendeva attenzione ma offriva gioco.
Ruotai di nuovo la testa nella sua direzione, grattando pezzi di carbone bruciato che mi si erano infilati nel collo durante la discesa.
– Sei tornato giù bello sporco, eh? Stasera mi fai lavorare tanto.
Se un coso di metallo potesse arrossire, allora io arrossii, però doveva essere stata una disfunzione della termoregolazione. Sentii le serpentine lungo le guance diventare incandescenti dentro la faccia, ma non c'erano cristalli di ghiaccio da sciogliere, lì a terra, nel Palazzo della Manutenzione: solo una donna senza un braccio e senza un occhio che mi sorrideva, che mi stava parlando in una lingua contaminata, sporcata dalle cadenze delle dominazioni indiane e cinesi.
Non so dire se Petra Pan sia una bella donna. Non è come per le stelle, o la luna, o il sole. Il viso ha forme equilibrate dalle proporzioni auree, le labbra piene, i denti sono allineati, l'occhio è nero, luminoso, e i capelli sono corti e scuri, e so che questi particolari messi insieme possono attrarre gli altri esseri umani, così come la mancanza di un occhio e di un braccio possono respingerli. Faccio fatica a comprendere la bellezza umana, e Petra Pan è per me ancora più complessa.
Tese la mano e sussurrò: – Andiamo a lavarci, su.
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