Oggi, rispetto alle tecnologie del passato, è presente una caratteristica nuova: i due elementi, naturale (il corpo) e artificiale (l’oggetto tecnologico), stanno contaminandosi a vicenda. Il corpo in futuro dovrà presumibilmente imparare a convivere con organi artificiali e protesi meccaniche, con macchine in grado di ascoltarlo, toccarlo, osservarlo, esplorarlo in profondità e capaci di restituirne una visione sempre più perfetta. Non si tratta più soltanto di usare gli artefatti tecnologici, ma di accoglierli all’interno del corpo biologico. La tecnologia innanzitutto entra in relazione con il corpo quando rappresenta un’estensione delle sue capacità “naturali”, sia in senso astratto che fisico. Tutti gli oggetti di uso quotidiano, dal telecomando al telefono cellulare, rappresentano infatti dei “prolungamenti” del corpo biologico e delle sue capacità. Si possono considerare parte di questo insieme di oggetti tutti i media, i mezzi di trasporto e, più in generale, tutti gli strumenti tecnologici che sono in grado di potenziare le capacità umane di vedere, sentire, ragionare, spostarsi nello spazio. Questa figura permette di comprendere come la pretesa naturalità dell'uomo sia in effetti solo una costruzione culturale, poiché tutti siamo in qualche modo dei cyborg. L'uso di protesi, lenti a contatto, by-pass sono solo un esempio di come la scienza sia penetrata nel quotidiano e abbia trasformato la vita dell'uomo moderno. La tecnologia ha influenzato soprattutto la concezione del corpo, che diventa un territorio di sperimentazione, di manipolazione, smettendo dunque di essere inalterato e intoccabile. Se il corpo può venire trasformato e gestito, cade il mito che lo vede come sede di una naturalità opposta alla artificialità.
Queste riflessioni ci sembrano parte integrante della poetica di Francesco Verso che della riflessione sulla natura del corpo artificiale ne ha fatto uno dei fulcri della sua narrativa.
Come sottolinea ancora la Haraway: “Le scienze della comunicazione e la biologia costruiscono oggetti di conoscenza tecnico-naturali in cui la differenza tra macchina e organismo è completamente offuscata, la mente, il corpo e lo strumento sono molto vicini”.
Peter Pains, il protagonista di Livido, è il simbolo di un uomo che ha espresso se stesso proprio con il suo corpo, un corpo mutato, ibridato con la tecnologia, che corre grazie a una particolare protesi al ginocchio e che desidera una nexumana, il cyborg all’ennesima potenza.
Come sottolinea ancora la Haraway: “Il cyborg è un’immagine condensata di fantasia e realtà materiale, i due centri congiunti che insieme strutturano qualsiasi possibilità di trasformazione storica”. Ed in tal senso, Livido è un romanzo di una sconcertante attualità.
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