Francesco Verso è una delle voci più originali della fantascienza italiana e dopo la vittoria del premio Urania, con e-Doll, e del premio Odissea con Livido, si può parlare di lui non più come di una promessa, ma come di una bella realtà. Inizia a scrivere nel 1996, prima poesie e poi il romanzo Antidoti umani, finalista al premio Urania Mondadori nel 2004. Nel 2009 vince il premio Urania con Il fabbricante di sorrisi, pubblicato nella collana Urania con il titolo di e-Doll. Nel 2010 completa il terzo romanzo Livido e i racconti Flush, Dodici Centesimi, Sogno di un futuro di mezza estate, Due mondi e La morte in diretta di Fernando Morales. Nel 2012 vince il premio Odissea della Delos Books con il romanzo Livido, appena pubblicato nella collana Odissea Fantascienza della Delos Books. Attualmente collabora con la Kipple Officina Libraria in veste di co-direttore della collana di narrativa fantastica Avatar.
Lo abbiamo intervistato proprio in merito a Livido, di cui possiamo dire che è un romanzo che segna la sua maturità come autore.
Tu sei il solo autore ad aver vinto il premio Odissea e il premio Urania, ossia i maggiori concorsi per romanzi inediti di fantascienza. Che cosa significa per te questo doppio risultato?
Significa aver vinto una scommessa fatta nel 2004 quando, ricevuta la lettera della redazione di Urania Mondadori con cui mi si comunicava di non aver vinto il premio con il romanzo Antidoti umani (giunto finalista), decisi di ritentare quattro anni dopo con e-Doll e quindi di insistere con la scrittura invece che continuare a lavorare nel settore dell'Information Technology.
Quali sono i tuoi autori di riferimento, fuori e dentro il campo della fantascienza?
Sono figlio del cyberpunk e mi sono formato sui romanzi di William Gibson, Neal Stephenson e Patricia Cadigan. Naturalmente tra i miei autori di riferimento ci sono anche maestri come Frank Herbert, Philip K. Dick, J.G. Ballard e Iain Banks. Ho una certa predilezione per la narrativa di speculazione, per cui tra i contemporanei leggo spesso i romanzi di Ian McDonald, Ted Chiang e Robert J. Sawyer mentre fuori dal genere strettamente fantascientifico mi piacciono Irvine Welsh, Chuck Palahniuk e David Foster Wallace insieme ai nostri Valerio Evangelisti e Niccolò Ammaniti.
Come è nata l’idea del romanzo e, soprattutto, lo scenario futuristico che descrivi in Livido?
L'idea è nata uscendo da un mercatino dell'usato insieme a mia moglie: dentro un cassonetto della spazzatura c'era un ragazzino che aveva trovato una bambola grande quanto lui. La accarezzava, la puliva e se ne prendeva cura come se fosse la sua fidanzatina. Una scena così forte ha dato inizio alla vicenda personale di Peter Pains che poi ho innestato su uno scenario di degrado ambientale non lontano dalle cronache delle nostre metropoli invase da ogni sorta di pattume. All'università ho studiato Economia dell'Ambiente, senza farmene davvero nulla, ma finalmente sono riuscito a mettere a frutto - almeno in parte - quanto appreso durante quel periodo.
Il personaggio principale è un ragazzo disabile, succube del fratello e ruota di scorta dei Dead Bones, la banda di teppisti capeggiata proprio dal fratello. Mi sembra una scelta coraggiosa, laddove i protagonisti dei romanzi di sf sono quasi sempre degli eroi, o al massimo degli antieroi. Qui siamo davanti ad uno sfigato, detto brutalmente. Come è nato Peter Pains?
Ho cercato di costruire un personaggio che partisse da un punto molto in basso nella scala sociale per poi scendere ancora di più. Eppure nel compiere questa "discesa agli inferi" fatta di trucchi, inganni e sotterfugi, Peter Pain risale la scala della propria autostima personale. In qualche modo, il romanzo vuole rappresentare la possibilità che ognuno ha di affrancarsi dai propri limiti (sia fisici che psicologici) e dai condizionamenti (sia familiari che sociali).
Peter Pains ha una vera ossessione per Alba, una bellissima donna che non è umana, ma nexumana, ossia una sorta di androide in cui viene riversata la personalità di un essere umano. Dove finisce l’ossessione e dove inizia l’amore per il protagonista di Livido? E, secondo te, l’amore è anche ossessione, o può esserlo solo in alcuni casi?
Nel vedere i fatti di cronaca degli ultimi tempi (che in realtà ci sono sempre stati seppure senza quell'alone di morbosa spettacolarità con cui viene proposto oggi il "femminicidio") direi che i rapporti umani in generale - e in particolare quelli sentimentali - hanno una spiccata componente ossessivo-compulsiva. Possesso e privazione altrui, egoismo e manipolazione sono le degenerazioni di un sentimento che è difficile da controllare. Nel caso di Peter Pains poi, l'amore è vissuto in maniera unidirezionale, nel senso che viene sperimentato per 15 anni nell'assenza di Alba e solo nel finale trova una soluzione (che però non svelerò qui.)
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