Se M. Night Shyamalan avesse iniziato la sua carriera da cineasta alla rovescia, molto probabilmente non avremmo avuto perle come Unbreakeable e il Sesto Senso, e come, ma solo fino a un certo punto, Signs.
Perché prima si sarebbe proposto al pubblico con roba come L'ultimo dominatore dell'aria (alzi la mano chi se lo ricorda), E venne il giorno (The Happening) e Lady in the water… e nessuno gli avrebbe dato credito o denaro per affidargli altri progetti.
Ma Shyamalan ha iniziato alla grande, ed è a causa di quel trittico iniziale di innegabile efficacia che, per buona parte degli anni Duemila, la gente ha creduto che fosse un regista da tenere d'occhio.
Ma se già in Signs allungava troppo il brodo con i sensi di colpa e le inquietudini dei protagonisti finendo col perdersi in millemila dettagli, è in E venne il giorno che furono in molti a togliersi il dubbio: Shyamalan è un regista alla meglio troppo a lungo sopravvalutato, alla peggio mediocre e incapace di dare un degno svolgimento a soggetti che, sulla carta, sarebbero potenzialmente vincenti.
Il che, intendiamoci, non è neanche il caso di questo After Earth, il cui soggetto di Will Smith (e già iniziamo male) si può riassumere in: storia di un rapporto difficile tra padre e figlio, entrambi alla ricerca dell'approvazione dell'altro.
E il fatto che sia ambientato in un lontano futuro è cosa del tutto marginale.
Con minimi ritocchi alla sceneggiatura, il film si sarebbe potuto ambientare nei nostri giorni, o, se preferite, in un periodo storico a vostra scelta, perché, così almeno sembrano suggerirci gli autori, certe dinamiche non cambiano mai.
E forse sarebbe stato meglio, perché, nonostante il budget impiegato (non altissimo, ma neanche troppo basso considerata la crisi di Hollywood), l'impressione generale che si riceve è di trovarsi in una puntata di Star Trek… e nemmeno in una di quelle memorabili.
Ve ne dico una tra le tante: lo schianto iniziale della navetta sulla Terra (non spoilero nulla, perché avviene nei primi dieci minuti) non ci viene neppure mostrato. Abbiamo un paio di secondi di schermo nero e l'effetto sonoro di un impatto.
Nessun modellino, niente CGI, fiamme, rottami, niente di niente.
Per una scena che non sarebbe stata spettacolarità fine a se stessa, ma un momento drammatico che avrebbe aiutato a fornire quel minimo di coinvolgimento emotivo che tutta la (stravista) soap opera familiare propinataci nell'incipit non era riuscita a fare.
Questa scelta, più di tante altre, mi fa da pensare che Shyamalan abbia definitivamente perso la rotta e il mestiere, confermata dalla totale assenza di empatia con i due protagonisti per l'intera durata della pellicola, una sorta di runner game con completamento dei quadri ed esaurimento delle risorse di sapore videoludico ma reso improbabile e melenso dal continuo dialogo padre-figlio (attraverso l'interfaccia della tuta) declinato in una serie di dialoghi scritti male (ma male tanto).
Che altro dire del film?
Che se il design di costumi, mezzi e ambienti voleva essere una precisa scelta stilistica, si è decisamente mancato il bersaglio. Altri scenografi e costumisti hanno dimostrato che si possono fare cose egregie anche col biodesign (Aeon Flux, ad esempio, ma anche in Time Machine) senza scadere nello sciatto e nelle tutine da cosplayer di gomma indossate dagli attori. E, a dirla tutta, altri elementi di scenografia, quali le interfacce digitali e i display delle attrezzature, stridono con tutto il resto delle ambientazioni "eco", senza costruire un contesto coerente e credibile… il che è un aspetto tutt'altro che secondario, in un film di fantascienza che vuole mantenere un pelo di credibilità.
Insomma, persino in Enterprise si è fatto di meglio. E quella era una serie televisiva.
Cosa salvare, allora?
La colonna sonora? Fiacca e poco evocativa.
La recitazione? Onestamente, per quanto Smith abbia dato ottime prove di sé in passato (Io Sono Leggenda ma anche cose non sci-fi quali La ricerca della felicità), la parte del genitore inflessibile e militaresco è l'ultima che gli si addice, e quanto al giovane Jaden, l'ombra del padre è troppo grossa per pensare che si trovi sul set per meriti propri quanto perché il film si sta girando coi soldi di famiglia (l'altro produttore è Jada Pinkett Smith, la moglie di Will).
Cosa rimane?
Le location.
Per descrivere la Terra abbandonata dall'uomo da mille anni, si è scelto il parco nazionale di Humboldt Redwoods in California, il Vulcano Arenal in Costa Rica, i ghiacciai dell'Islanda e la montagna Eiger in Svizzera.
E funzionano.
Ma non bastano di certo, e questo lo capite anche da soli, a salvare un film brutto, banale e a tratti persino irritante.
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