In questi anni i videogame hanno fissato aspetti chiave che probabilmente definiranno in maniera profonda anche il digital entertainment di domani. Tra i tanti, c'è per esempio che un progetto importante oggi, per partire, necessita di una prospettiva ampia, ossia ormai non si ragiona più in termini di titoli singoli, ma almeno di trilogie. Il panorama che abbiamo di fronte è insomma costellato di poche serie costosissime e possibilmente altrettanto buone, magari declinate in mille modi diversi. In attesa della prossima generazione di console, per tenere alta l'attenzione in percorsi multimediali diventati via via più lunghi e complessi, una carta popolare è quella del prequel.
L'hanno giocata a stretto giro, in questi giorni, sia Sony, con il fantasy God of War: Ascension, sia Microsoft, con la science fiction militare di Gears of War: Judgment. Di quest'ultimo, disponibile in Italia dal weekend, si parla anche in un'intervista a Jim Brown, di Epic Games, su Robot 68, il nuovo numero della rivista Delos Books in uscita a fine mese. Il caso di Judgment è emblematico perché, oltre al principio di fortificare un universo narrativo per mezzo di un prologo il cui scopo nascosto è probabilmente insaporire la pausa tra due atti-trilogie, introduce l'idea che, per sopravvivere alla sfida del tempo, servano continuamente prospettive fresche. Il videogame, che rappresenta il titolo di punta di inizio anno di Microsoft su Xbox 360, è infatti stato realizzato dallo studio storico della serie, l'americana Epic, in collaborazione con la software house dello spumeggiante Bulletstorm, la polacca People Can Fly, che ha avuto parecchia voce in capitolo per reinventare la formula del successo alzando il ritmo dell'azione e inserendo elementi di stampo maggiormente arcade.
“Noi di Epic siamo stati impegnati sul progetto della trilogia di Gears of War per più di dieci anni” evidenzia Jim Brown. “Per questo quarto capitolo c'era bisogno di una prospettiva innovativa. È stato fantastico poter unire le forze con i ragazzi di People Can Fly, in modo da avere da un lato la nostra esperienza, dall'altro il loro sguardo giovane, per riproporre insieme, con rinnovato slancio, il franchise. I temi di fondo del gioco sono molto vicini a quelli del primo Gears of War, in un certo senso siamo di fronte a un ritorno al passato che recupera lo spirito classico dell'originale, senza però prendersi troppo sul serio”. Merito, accenna Brown, anche del ruolo di spicco che in Judgment riveste il personaggio di Baird, a capo di una squadra inedita sempre con Cole, un'altra vecchia conoscenza, ma senza Marcus Fenix. “Baird è in grado di stemperare, aggiungendo un po' di humour, situazioni altrimenti estremamente serie, perché in realtà questo è l'episodio più duro, cupo e intenso dell'intera saga”.
Si tratta di andare indietro di quattordici anni rispetto al primo Gears of War, durante la caduta della città di Halvo Bay, ricostruita in un processo davanti alla corte marziale sfruttando il meccanismo dei flashback, all'alba della guerra tra i soldati del Cog e le mostruose Locuste che avrebbe poi praticamente distrutto il pianeta Sera. “Ricollegandoci agli altri Gears of War, si potrebbe dire che in Judgment c'è meno polvere e più fuoco; siamo proprio nel pieno della distruzione su cui in pratica sono sorti gli altri Gears of War. Al centro di Gears of War c'è sempre stato il concetto di “bellezza distrutta” (destroyed beauty, a indicare un paesaggio post-apocalittico in grado di mantenere un suo sense of wonder, ndr), mentre per Gears of War: Judgment abbiamo pensato a un cambio di tempo. Non è più “distrutta”, al passato, ma si sperimenta quella distruzione dal vivo".
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