– Lei però a me non l'ha detto. – Sorrise. Abbassai lo sguardo, sistemandomi la giacca.

– Ha ragione, signora. Forse sto cambiando anch'io.

– Mi saluti sua moglie.

Non le risposi. Uscii sotto i portici di Via Saragozza. C'era pochissima gente, ed era tutta italica. L'aria era frizzante. Il pomeriggio stava perdendo luminosità, eppure la signora, appena fui uscito, si affrettò a spegnere l'unica plafoniera accesa nel salone. 

Tornai a casa e trovai Betta completamente nuda nel sarcofago.

Fu rivoltante vedere il suo corpo reso flaccido dall'inattività compresso in quell'alcova a forma di supposta, ricoperto di nanolattice trasparente che lo palpava e lo inumidiva rispondendo alle simulazioni di outronet. I cento milioni di microled della maschera di carbonglass trasformavano il suo volto in una fonte ondosa di luce azzurrina. I fotoni pressori scannerizzavano e donavano sensazioni all'unisono.

Betta teneva il sarcofago nello studio, lì, insieme ai vecchi libri, accanto alla poltrona che accoglieva le mie letture, la sera. La casa non era piccola, e sono ancora sicuro che al momento dell'installazione Betta aveva scelto quella stanza solo per darmi fastidio.

Provai a spegnere il sarcofago. Il segnale di blocco mi disse che Betta aveva inserito una sicura software criptata. Ma io sono un tecnico, e in trenta secondi e due sportellini di manutenzione disaccoppiai il risonatore wireless da quello dell'appartamento e la corrente s'interruppe.

Il nanolattice si ritirò in un attimo, la maschera divenne buia e Betta annaspò sollevando gambe e braccia. Fu così goffa.

Ansimò. Si tolse la maschera e si piegò in avanti, forse sapendo già cos'era successo. Lo capii dai suoi occhi, meno azzurri dei led che li avevano nascosti ma milioni di volte più gelidi.

– Sei impazzito?

Avrei voluto dire mille cose. Eppure mossi a vuoto la mascella.

– Ero in Parlamento! C'era una votazione! Claudio! Che c'è? – continuò lei.

– C'è che sei nuda. Dio! Betta! Sei nuda... come... come gli altri.

La guardai tutta, non sapendo cos'altro dire. Poi aggiunsi: – Nuda, per andare in Parlamento. Di quale sollecitazioni fisiche avrai mai bisogno? Cos'è questa novità?

– Mi sento più comoda.

Sentii il bisogno di tornare fuori e camminare.

Invece dissi: – Sì, certo...

– Claudio, che ti prende? Ero in seduta. Stavo votando. Vuoi vedere il log?

I log s'imparano a camuffare dieci secondi dopo la prima volta in outronet. Lo sapeva quanto me.

– Vuoi toccarmi tra le gambe, Claudio? No, dico, se devi rimanere col dubbio...

– Sei disgustosa... Che cosa... Cosa stai diventando?

– Io? – Scivolò via dal sarcofago. Il nanolattice sembrò seguirla, assecondandone il movimento, ma fu solo un'impressione. – Tu, Claudio, piuttosto. Ti ho accontentato. Mi hai fatto venire a Bologna, in centro, perché tu volevi vedere la gente per strada. Non abbiamo internet. Che se devo collegarmi devo emulare tutto da outronet. E sai quanto sono rompiscatole le compagnie sull'occupazione di banda.

Era ancora bella. La fronte alta, le sopracciglia rade, e quegli occhi spioventi con le rughe negli angoli. La pelle bianca come la luna.– Ricordo quando ti chiamavo Bonnie Moon... – le dissi in un sussurro.

– Bonnie Moon? Cosa? Claudio! Eravamo ragazzini, non si tratta di ricordare...

– Appunto. Non ricordi più niente da questa parte della vita. Non ricordate niente. Ve ne state in outronet, con la scusa di poter azzerare le distanze, di risparmiare energia... E i posti... i posti si svuotano. Le città sono scheletri.

– Claudio, sei vecchio e drammatico. – Prese la vestaglia appoggiata sullo schienale della sedia e la indossò lasciandola aperta.

– Davvero non ve ne accorgete, tutti voi? I ragazzini fanno questi corsi di anticreatività, per esempio.

– È una legge di cui vado particolarmente orgogliosa, lo sai.

– State mettendo un freno alle menti. Non solo ai corpi.

– Ma che dici! Tutti creano contenuti e nessuno consuma. Blog, video, social. C'è un limite a tutto. Sono tutti concentrati a creare. Un'iperproduzione deleteria. Bisognava mettere un freno. Ristabilire il rapporto tra produzione e consumo...

La fermai con un solo gesto della mano, e questa cosa mi stupì.

– Ti prego. Qui non sei con i tuoi amici politici. Sei con me. Un vecchio tecnico. Uno che si sporca ancora le mani. Da quanto tempo non esci davvero? Siamo tutti tecnici, lì fuori. – Indicai la finestra. – Idraulici, trasportatori, muratori. Siamo quelli che usano ancora le mani. Anche i bambini stanno diminuendo, per strada. Dio! Voi davvero non ve ne accorgete... Bonnie Moon, io ti amo ancora...

Betta spalancò gli occhi e soffocò una risata sputando un po' di saliva. Si passò un dito sul labbro.

– Claudio, mi sembri un attore di quelle commedie di cento anni fa... Senti, io devo tornare alla Camera. Hai intenzione di staccare ancora la spina?

Mi guardai i piedi per la seconda volta, quel giorno.

– No – dissi. – Vai dove devi andare.

– Ah... Tra una settimana starò via per due giorni. Lo dico tanto per non avere altre sorprese come quella di oggi. Ho già programmato il nanolattice. C'è solo da caricarlo con i nutrienti. Stiamo facendo cose grosse, dall'altra parte. Anche per chi non le apprezza.

Due giorni. Sarebbe rimasta in quella supposta tagliata longitudinalmente per due giorni, facendosi nutrire e producendo escrementi che il nanolattice avrebbe stoccato e reso inerti.

Non ricordo più cosa le risposi. Volevo solo uscire di nuovo perché mi mancava l'aria, e così feci. 

Non so come riuscii a fare quello che ho fatto.

Durante quella settimana andai a lavorare come tutti gli altri giorni. La mia zona era perlopiù Pieve di Cento, lì dove per chissà quale ragione c'è la più alta concentrazione di mummie.

Una specie di dormitorio per colletti bianchi di un certo pregio e ricercatori che abbandonano la vita vera per ottemperare agli impegni di lavoro in quella simulata, chiusi in edifici squadrati e identici l'uno all'altro. Le strade di Pieve sono ancora più avvilenti di quelle di Bologna. Ci si ritrova a girare da soli tra mura bianche e incroci codificati secondo una sequenza matriciale riconosciuta dalle tavolette di tecnici e corrieri. Io avrei preferito i nomi delle vie, come un tempo.

L'estetica non ha ragione di esistere, in un posto così. È un sepolcro algebrico.

Quella settimana, come al solito, capitai spesso a casa di De Solla-Price. Un italico di chissà quale provenienza. Si diceva che, oltre a essere un eccentrico filantropo, fosse un fisico molto in gamba.

Per la mia azienda, De Solla-Price era una gallina dalle uova d'oro. Era un ipocondriaco digitale e le sue chiamate rivelavano problemi inesistenti o interventi di poco conto. Io ho sempre sospettato che avesse solo bisogno di compagnia, perché nonostante tutto era un inguaribile chiacchierone e uno di quei giorni, mentre gli verificavo il timing di sospensione di banda, lui se ne uscì con il solito interrogativo: – Ma è vero che tu non sei mai stato in outronet?

Parlava male perché immaginavo usasse poco le corde vocali. Le consonanti erano tutto uno sbattere di labbra e denti.