Quando entrai, la signora disse buongiorno e mi fece accomodare sulla poltrona accanto all'ingresso, lì dove arrivava anche la luce di rimbalzo dei portici.
Alzai lo sguardo sulle due plafoniere led. Una era spenta e il fondo del locale era in penombra. Da come mi guardava, mi accorsi che la signora aveva intuito i miei pensieri e allora schiarii la voce anche se non avevo detto nulla da quando ero entrato.
La poltrona aveva il rivestimento verde screpolato, ma erano solo fenditure superficiali. Decisi di muovermi lo stesso il meno possibile. Gli scrocchi del cuscino si sentirono ugualmente.
La signora riuscì a intuire anche quello, perché mi disse: – Non si preoccupi. – Poi aggiunse in fretta: – Allora, cosa facciamo? – Le rughe sugli zigomi si allungarono in un sorriso a labbra strette. Era una signora simpatica. Si sistemò in piedi accanto a me.
Osservammo la mia figura allo specchio. Un velo grigio di barba. Le basette bianche disordinate che coprivano le orecchie. Anche i capelli avrebbero avuto bisogno di una spuntata.
Però le dissi: – La fa la pedicure?
– Oh, sì, certo!
Girò la poltrona verso l'interno del salone, perché lo specchio non sarebbe servito. Mi voltai indietro e la vidi prendere da un cassetto della console un paio di piccole forbici che poi mise in uno sterilizzatore a microonde. Rimase col dito ossuto sul pulsante di accensione.
– Signora... Non c'è n'è mica bisogno. Voglio dire...
– Non deve preoccuparsi – disse voltata di spalle. Scommisi che stava sorridendo. Però mosse appena la testa verso la plafoniera, mentre accendeva lo sterilizzatore.
I led si affievolirono un po' nei dieci secondi che il macchinario rimase in funzione. Fu quasi impercettibile.
– Signora, posso chiederle che quota le hanno dato?
– Sessanta watt continui, negli infrasettimanali.
– Ah... E il giornaliero?
– Un kilowatt, in questa stagione. E le giornate si stanno accorciando.
– E ce la fa?
– Ce la devo fare. Come li vuole gli alluci? A scalpello o finestrati.
– Uhm... Non lo so. Faccia lei. Per me è la prima volta.
Credevo mi avrebbe spiegato la differenza tra i due tagli, invece disse solo: – Le faccio una via di mezzo.
– Va bene, signora. – Le sorrisi, ma si era già chinata per togliermi la scarpa. Forse avrei dovuto farlo io.
Sfilò anche la calza.
– Lei è uno che cammina molto – disse mentre mi appoggiava il piede su uno sgabellino e prendeva con delicatezza il mignolo tra il pollice e l'indice. La forbicina iniziò a ticchettare sull'unghia. Era piacevole.
– Ho dei piedi così brutti?
– Oh, no. Si vede solo, ecco.
– Be', sì, mi piace camminare.
– Non è da tutti. – Sì, signora. Ha ragione.
– Lei si è trasferito da poco, qui, vero?
– Un mese, circa, signora.
– Lo dicevo solo perché l'ho vista spesso qui in giro.
– Non si preoccupi. Siamo io e mia moglie.
Le lame delle forbicine si fermarono un attimo. Poi ripresero.
– Oh... Allora è sposato? Intendo, in matrimonio?
– Sì. Con un'italiana.
La signora si fermò di nuovo e questa volta mi guardò. Doveva avere circa vent'anni più di me. Era molto vecchia. Mi fece solo piccolo cenno col capo e riprese a tagliare.
– Anche mio figlio è italiano, ma si è scelto un'italica-indiana e ora vivono a Bangalore. Ha un buon lavoro. Mi ha dato lui i soldi per questo salone. Un vezzo.
La signora aveva finito il piede destro. Anche l'alluce. Aveva fatto un ottimo lavoro. Liberò il sinistro dalla scarpa e dalla calza e riprese a produrre quel suono così delicato.
– Lei che lavoro fa? – mi chiese.
– Sono solo un tecnico. Un vecchio tecnico.
– Di cosa?
Mi schiarii di nuovo la voce.
– Mi sono dovuto riciclare. Ora faccio la manutenzione di quei cosi, sa? I sarcofagi.
Le lame mi pizzicarono la pelle del terzo dito. Ritrassi il piede istintivamente.
– Oh, mi scusi! – fece la signora. – Queste mani hanno i loro anni. Mi faccia vedere. Le ho fatto male?
Riappoggiai il calcagno sullo sgabellino. – Non è successo mica niente.
– Mi scusi ancora, sa... pensare alle quote del mio salone e al lusso di certa gente... – fece un gesto con la forbicina, passandola sopra la testa.
– Non consumano poi tanto – precisai. Sperai finisse presto. Era arrivata rapidamente all'alluce e sembrava si fosse fermata lì, sforbiciando a vuoto l'aria.
– Dice?
– Sì.– Però non è mica gente che si ferma quella. Di solito sono potenti o ricchi sfondati, o tutte e due le cose. A loro non toccano le quote, non è vero? E hanno anche l'aria condizionata.
– Sì, di solito è così, ma non è mica detto – risposi.
Sperai non me lo chiedesse. E invece disse: – E sua moglie? Che lavoro fa?
Allora mi alzai in fretta e guardando la punta dei piedi le dissi: – Ha fatto proprio un bel lavoro! Quanto le devo?
Il pavimento era freddo. Ricordai di essere scalzo. Sedetti e rimisi calze e scarpe velocemente nascondendo i lacci nella tomaia per non perdere tempo ad annodarli.
– Trentamila lire – disse la signora, e dopo un po' aggiunse, quasi scusandosi: – Li ha in contanti?
Mi rialzai. Forse ero un po' rosso in viso.
– In contanti? Oh, non ha lo smartreader? Oh, non so, aspetti, devo vedere. Forse ho qualche banconota da qualche parte. Ecco, ne ho solo una da cinquantamila.
– Non ho il resto...
– Tenga tutto, allora.
– No, il prezzo è trentamila.
– Allora me li darà quando li avrà. Tanto mi vede passare, no?
– Certo, signore.
Le feci un cenno col capo, sorrisi e aprii la porta d'ingresso. Poi mi girai e le dissi: – Non avevo bisogno di farmi tagliare le unghie. Pensavo fosse una signora che usa dire ancora buongiorno, e così è stato.
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