Seguì un boato stordente. La folla si alzò in piedi, tutta insieme. Xeno pensò a un nuovo Mutamento, ma stavolta era lui ad aver colto un che di strano. Da destra venivano urla. Cercò di sollevarsi il più possibile. Temette d’aver capito: era esplosa una bomba, in direzione degli Apoc. Anche la folla comprese.
Da quel momento fu l’inferno.
Xeno e Myria cercarono una via di fuga. Si udirono altri botti assordanti, colpi d’arma da fuoco, smitragliate. All’improvviso, con terrore, Xeno si accorse di aver perso Myria.
Cercò di tornare indietro, ma la folla si era inferocita. Un’ombra enorme si allargò sulla folla: stava calando la mongolfiera delle forze dell’ordine e Xeno percepì il sibilo del motorino per la discesa e l’ancoraggio, perché agli sbirri era concessa una deroga per le Energie Inquinanti. In un baleno calarono scalette uomini e attrezzature, le vie furono sbarrate e incominciò un pestaggio indiscriminato. Xeno si ritrovò fuori dai recinti, con altri, e la polizia infieriva anche contro di loro.
Corse come un pazzo, inchinato, sgomitando, perché al momento l’unica soluzione era tornare a casa.
Né poteva attendere per tornare indietro: la polizia aveva steso un cordone e non sembrava volesse toglierlo.
Per rientrare a casa impiegò cinque ore.
Era a letto, stremato, e cercava di raccogliere le forze per uscire di nuovo. Erano trascorse altre tre ore. Stava per rimettersi in cammino, quando vide arrivare Myria.
Era scioccata e aveva ferite. — Quando mi sono accorta di averti perduto mi sono nascosta nel vuoto sotto i sedili di pietra — disse. — Non so come non mi hanno visto, non so come ce l’ho fatta, non so nulla…erano bestie inferocite, tutte bestie. Poi la polizia se n’è andata. — Scoppiò a piangere. — In questo momento vorrei morire.
Tre giorni dopo, nel tardo pomeriggio, Xeno sedeva sulla sua sdraio nel cortiletto di casa. Anche se erano proibiti radio tv e computer, certe notizie trovavano egualmente modo di diffondersi. Pareva che la guerra tra Mistic e Apoc avesse infettato tutto il pianeta. Pareva che ci fossero state, e continuassero, una serie interminabile di incidenti gravissimi. Lì, nella Capitale, la bomba e i tumulti allo stadio avevano provocato un centinaio di morti e almeno altrettanti feriti gravi. Le folle si erano scannate tra loro. In altre città grandi o importanti (di quelle medie e piccole nulla si sapeva) non erano mancate numerose vittime. Tanto per accrescere le statistiche e il Pil. Ma soprattutto, sul da fare non si era deciso assolutamente nulla, o per la precisione: si era peggio che al punto di partenza.
Xeno chiuse gli occhi e cercò di distendersi meglio sulla sdraio.
Quando li riaprì, gli capitò di guardare in cielo. Inattesamente era sgombro. Una gradita sorpresa! C’era solo una nuvoletta. Ci ripensò. Qualcosa di insolito? Sbadigliando rialzò lo sguardo. Un fulmine nella mente! Non doveva essere una nuvola. Accidenti, poteva… doveva essere la cosiddetta Conca, sì! Sembrava infatti un oggetto concavo, scuro, e che quasi puntasse in linea retta, proprio verso di lui. Una immensa nube interstellare, avevano detto gli astronomi. Cavoli! Non bastavano i veleni delle nuvole di casa nostra, ora ci si metteva anche l’universo intero?
Eppoi, possibile che la Conca si fosse già avvicinata tanto alla Terra… O era un’illusione ottica?
Preferì questa seconda soluzione.
Abbassò lo sguardo, ma il pensiero tornava sempre lì, lassù. Una sbirciata.
Strano: chissà perché, gli tornò ancora alla memoria il suo cane d’una volta, Perlinka. Che c’entrava? Gli sarebbe piaciuto farle una grattatina sulla testa, lei avrebbe risposto leccando la mano. E ora, guarda caso, più che una conca, per qualche attimo gli parve di vedere nella grande nube proprio… sì, al diavolo, la paletta di Perlinka.
Vista dal di sotto, quando uscivano e lui l’apriva per usarla.
(Dall’antologia The End, 2012. Per gentile concessione di Il Grillo Editore, Gravina di Puglia).
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