Era sera, ma per le vie c’era ancora molto movimento. Una Capitale è sempre una Capitale. Gente indaffarata, fracasso, volti segnati. Solito spettacolo rivoltante.
Questa sepoltura, pensò, meritava un luogo diverso. Lontano dalla merda quotidiana (un tipo di merda che inquina l’anima), lontano anche dalle maledizioni e dagli orrori. Utopia! Era già sera, e per di più senza luce. Anzi, era follia. Forse solo sulla cima di una montagna.
Vagò senza meta per la città. E comunque era pericoloso. Con fame e disagi cresceva la delinquenza spicciola. Cominciò a temere d’essersi cacciato in un vicolo cieco.
Ebbe un’idea.
Tornò sui suoi passi per dirigersi fuori città, ma stavolta non in campagna. Dopo poco più di mezz’ora la periferia divenne una serie di caseggiati alti, con finestre da cui filtravano poche luci fioche. Erano tornate le candele, erano a lunga durata. Inquinavano? Ricordava che lì, oltre l’ultimo gruppo di case solitamente disabitate, decenni addietro su un vastissimo slargo sostavano periodicamente le giostre, con capannoni e tutta una serie di divertimenti. Era molto giovane a quei tempi, e sembrava una fantasia inverosimile ma in quel luogo lui si era divertito tantissimo.
Chiaro che giostre ora non ce n’erano. Anche da lontano, ecco, s’intravvedeva alla fine dei palazzi un buio fitto. E se non era in errore, ricordava pure che…
Quando svoltò l’ultimo angolo era già nell’oscurità completa. Attese che gli occhi si adattassero, perché lui aveva un’ottima vista. Occhi di gatto, era solito dire. E vide.
Il cielo offuscato conservava un sottile velo di luce, residuo del tramonto. Contro quel vago chiarore s’intravvedevano ancora, nell’abbandono totale, gigantesche sagome nere di tralicci rugginosi, ponti, anelli, padiglioni, aste con bandierine cadenti, reti, vecchi cavi dell’elettricità solcanti il cielo. Tutto immobile, decrepito, cristallizzato nel tempo. Il luogo ideale! Per alcuni attimi giostre, autoscontro, tiro a segno, trenini elettrici, bastoncini di zucchero filato, merendine, allegre canzoncine, ripresero per lui vita luce profumi movimento suoni e colori, vide e sentì il se stesso gioioso di allora e pensò stupidamente che ciò potesse portare sollievo anche a chi era nel fagotto.
Poi tornò il buio.
Il suolo era terreno battuto. Xeno scelse un posto proprio al centro del vecchio luna park e tirò fuori gli attrezzi. Prese la zappa, la sollevò e abbassò con forza, dando il primo colpo al suolo.
Improvvisamente dilagò una luce viola accecante e sentì smuoversi con violenza la terra sotto i piedi.
Quando Xeno si svegliò non riconobbe il luogo in cui si trovava. Cacciò un urlo.
Qualcuno gli mise una mano sulla fronte. — Calmati… Sei a casa, ci sono io qui…
Riconobbe la voce di Myria. Si sollevò di scatto passando una mano sugli occhi.
— Myria, io…tu…
— Calma, Xeno. Sei stato, anzi siamo stati molto fortunati.
A Xeno tornava la memoria. — Un Mutamento — disse. Sì, ora rammentava tutto. Tutto, maledizione! Il fagotto…
— Stai giù — disse Myria cercando di calmarlo.
Ebbe una visione: lui che cercava la via di casa perché aveva perso l’orientamento, saliva e scendeva su ammassi di macerie, la luce viola martellava come un faro impazzito. Le strade sbalestrate e aggrovigliate. Il luna park…
— Il Mutamento dilaga — disse Myria — stavolta è stato peggiore degli altri. Il mondo è cambiato, Xeno. La Terra non è più quella d’un tempo.
— È la terza volta che succede qui da noi, e ogni volta è peggio — notò Xeno, poi doveva essersi riaddormentato.
Quando si svegliò si sentiva molto meglio, ma sempre debolissimo. — Myria, non immagini cosa mi è accaduto…
— Temo di immaginarlo, più o meno. — La voce era un invito a raccontare, e Xeno raccontò.
— La mia andata al luna park non è stata inutile. Quando è accaduto, ho fatto in tempo a vedere che il suolo si apriva e il fagotto cadeva giù… Voglio credere che sia arrivato al centro della Terra. Non c’è posto migliore per certe cose… Col fagotto, credo sia precipitato giù anche il luna park. Staranno benissimo insieme. Io… sì, ricordo, ho fatto appena in tempo ad aggrapparmi a un muretto che non so come mi sono ritrovato vicino. I palazzi si stavano sbriciolando. Non ricordo più… Poi ero per strada sulle macerie, la luce rossa lampeggiava da sopra. Di altri momenti ho memorie confuse... Camminavo. Ora sono qui. — Cercò di alzarsi.
— Non muoverti, per favore.
— Myria, ora sto bene. Fammi dare solo uno sguardo fuori.
Si diresse alla finestra. Temeva di vedere altre case crollate, ma tutto sembrava al suo posto, in quella zona. Tranne la luce. Allora uscì sul balcone e alzò gli occhi al cielo: lo vide interamente occupato da. un’immane spirale nuvolosa grigia, che roteava lentissima. Sullo sfondo, il cielo – apparentemente dietro la spirale – era d’un rosso che virava sul cupo. La spirale pareva accelerare il moto e dava la sensazione che la sua punta si avvitasse nel corpo d’una dimensione adiacente.
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