Quali quesiti universali ha mai posto Paul Di Filippo al suo collega italiano Dario Tonani? La risposta nell'intervista che segue, tutta da leggere e sui cui soffermarsi per capire che cos'è la science fiction oggi.
Cosa ne pensi delle affermazioni di Paul Kincaid e Jonathan McCalmont sulla morte della fantascienza? Entrambi sostengono che la SF stia solo riciclando vecchi tropi, non produca nulla di nuovo, si rifiuti di misurarsi con la realtà e si stia ripiegando verso la fantasy pura… Come cerchi di contrastare questo trend?
Ormai il futuro permea ogni anfratto delle nostre esistenze, satura ogni nostro gesto, è ovunque: in questo contesto, è abbastanza comprensibile che un genere letterario che per sua stessa natura si misura col domani finisca per perdere la sua carica seduttiva prima ancora che propulsiva. E magari decida di rivolgersi altrove; alla fantasy e alla cosiddetta paranormal fiction. In un’epoca in cui il futuro ci viene declinato per immagini – pensiamo a cinema, tv, pubblicità, videogame – interessa davvero poco che contestualmente gli scrittori di fantascienza ce lo raccontino a parole. Il progresso, poi, è troppo veloce perché possa diventare oggetto di speculazione credibile. Clarke diceva che “ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”; forse anche per questo noi autori di SF siamo scivolati fuori dal nostro alveo. Per manifesta incapacità di tenere il passo con lo sviluppo della scienza e della tecnologia. In realtà non credo affatto che sia una resa. Assomiglia piuttosto a una presa di coscienza responsabile; inutile fare predizioni ancorché azzardate, quando puoi semplicemente prendere una strada e seguirla, in una parola “fantasticare”. E fantasticando, divertire. Non ho mai pensato di arrivare a dire qualcosa prima che sia evidente per chiunque altro, desidero solo raccontare la mia idea e il mio sogno. Ho scritto storie che si reggono orgogliosamente in piedi soltanto sull’alluce della coerenza. E non mi interessano le scarpe comode di una solida base scientifica. Non devo convincere nessuno, tantomeno vendere un futuro possibile o probabile. Sono solo un povero argonauta…
Da millenni umanità e fantascienza vivono un rapporto di amore e odio con le macchine. Il tuo Cardanica è una delle più recenti espressioni di questo fatale incontro/scontro tra carne e macchina. Pensi che tra l’uomo e le sue creazioni debba sempre necessariamente esserci guerra, o sei invece convinto che un giorno esploderà la pace, magari alle soglie della Singolarità?
Il clima di conflitto sotteso o di pace armata tra uomo e macchina, quando non addirittura di guerra aperta, è da sempre un pilastro della fantascienza. Dove non c’è ostilità c’è quantomeno diffidenza, sospetto, timore. E in ultima analisi fascinazione. In realtà, quello che più m’intriga della tecnologia è proprio il suo carattere meno… addomesticabile. La possibilità che la sua deriva diventi minaccia conclamata. Certo, coi computer tutto questo è più immediato, più naturale; l’idea stessa di replicare, diciamo così, “sul piano software”, il cervello umano porta naturalmente con sé una valanga di paure ataviche. Cardanica e tutto il ciclo di Mondo9 fissano queste paure molto prima dell’avvento dei pc e dell’elettricità, quando era la meccanica a generare sense of wonder e sconcerto; il movimento più che il pensiero, il rumore d’ingranaggi più che l’ansiogena assenza di segnale o di campo. La nave Robredo si comporta come se fosse animata da una sorta di Hal9000 ante litteram, che anziché essere la massima espressione del silicio è semplicemente pura intelligenza di metallo, olio lubrificante e ruggine. Come scrittore non auspico certo la pace tra uomo e macchine, perché l’armonia pacifica la trovo noiosa. E poco produttiva sul piano narrativo. Altro paio di maniche è se devo ragionare in qualità di utente che se ne va in giro con l’iPhone e l’iPod e che inorridisce al solo pensiero che il suo computer non si comporti come un docile agnellino. Nelle mie storie uomini e macchine sono sempre sul chi va là e si guardano reciprocamente in cagnesco: magari non passano il tempo a darsele di santa ragione, ma attendono il momento buono per affermare la propria sopravvivenza a scapito dell’altro. Insomma, mors tua, vita mea…
Hai mai amato un film di SF quanto un buon libro di fantascienza? Chi vorresti come regista per una tua storia?
La lista di film di science fiction che se la giocano con un buon libro dello stesso genere è lunga e articolata. Ma questi quattro titoli sono imprescindibili: Fahrenheit 451, Blade Runner, Inception, Matrix, tutti apprezzati avendo bene in mente il romanzo da cui erano tratti o all’opposto rimpiangendone la mancanza. Ecco, è questo il punto: quando vedo una pellicola sullo schermo una parte del mio cervello va istintivamente alla ricerca del testo che lo ha generato. Perché nella mia “catena creativa” ideale, sono ancora le parole che producono le immagini e non viceversa. Quale regista vorrei? Visto che parliamo di fantascienza, posso costruirmi un mostro di Frankenstein con i pezzi un po’ dell’uno e un po’ dell’altro? Lo costruirei con la vis immaginifica di Tim Burton, la cupezza decisamente cerebrale di Christopher Nolan e le “spacconate visive” di Michael Bay o dei fratelli Wachowski. E i soldi di Spielberg, perché no? Grazie di cuore della chiacchierata, Paul. Alla prossima!
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