La storia della fantascienza in Italia coincide necessariamente con la storia della fantascienza scritta da autori italiani. Se diamo per buona quest’equazione, allora il primo scrittore di science fiction di casa nostra è Lionello Torossi che, con lo pseudonimo di Massimo Zeno, pubblicava sul numero 1 di Scienza Fantastica la prima puntata del suo racconto lungo Il ratto delle sabine. Era l’aprile del 1952 e proprio quest’anno e questa pubblicazione sono convenzionalmente indicate come l’inizio della fantascienza in Italia.
Scienza Fantastica era pubblicata dall’Editrice Krator di Roma, i cui proprietari erano lo stesso Torossi (che figurava come direttore) e da Vittorio Kramer (vicedirettrore). Il nome della casa editrice, infatti, non era altro che una fusione dei due cognomi dei proprietari.
Solo nell’ottobre del 1952, la Mondadori - grazie a Giorgio Monicelli che ne diventò il curatore, e ad Alberto Mondadori – decise di varare ben due pubblicazioni dedicate al genere: Urania e I Romanzi di Urania. Ma il secondo posto nella storia delle pubblicazioni di fantascienza italiane non spetta alla Mondadori e ad Urania, bensì alle Edizioni Diana di Roma e alla rivista Mondi Nuovi, diretta da Nello conforti. La pubblicazione – uscita il 1 agosto del 1952 e durata solo 6 numeri - si presentava con una struttura abbastanza classica, c’erano racconti rubriche e soprattutto fumetti che occupavano quasi il 50% del numero di pagine. I racconti erano tutti di autori italiani che spesso si firmavano con pseudonimi stranieri, oggi – e forse come allora – del tutto sconosciuti: Enrico De Boccard (Edgar P. Allan), Enrico De Boccard (Ebel De Monserrat e E. Grafson), Vanni Angeli (I. G. A. Wanny). L’unico a firmare una storia con il suo nome reale è Angelo R. Mazzarese.
L’Italia degli anni Cinquanta, quella che assiste alla nascita della science fiction, è un paese che è da poco uscito da una devastante guerra, sia sul piano morale sia su quello del territorio, e dall’altro è un paese che ha lo sguardo rivolto al futuro. Al governo c’è il democristiano Alcide de Gasperi; la Rai inizia le sue trasmissioni sperimentali; il Festival di Sanremo viene vinto da Nilla Pizzi con la canzone Vola Colomba; al cinema c’è Totò a colori di Steno, primo film a colori; a Milano, a piazza San Babila, viene impiantata la prima cabina telefonica e l’Italia - insieme a Francia, Germania, Belgio, paesi Bassi e Lussemburgo - fonda la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio).
Se il 1952, dunque, è convenzionalmente l’anno zero della science fiction italiana, è altrettanto vero che una convenzione è per definizione un accordo, un mettere nero su bianco un punto di partenza, ma come hanno dimostrato vari studiosi (Gianfranco de Turris, Ricardo Valla, Claudio Gallo, Fabrizio Foni e altri) la fantascienza scritta da autori italiani è sempre esistita e le sue tracce possono essere fatte risalire fino anche al 1400. Restando solo all’800 e alla prima metà del 900 non possiamo non citare i romanzi di scrittori notissimi e meno noti, ma tutti con opere apertamente o con spunti proto fantascientifici: Dalla Terra alle Stelle. Viaggio meraviglioso di due italiani ed un francese (1887) di Ulisse Grifoni, L'Anno 3000. Sogno (1897) di Paolo Mantegazza, Dalla terra alle stelle (1890) e Gli esploratori dell'infinito (1906) di Yambo (al secolo Enrico Novelli), Il raggio naufragatore (1903) di Luigi Motta e Le Meraviglie del Duemila di Emilio Salgari (1907), ma la lista è lunga e non è questa la sede per compilarla.
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