Noi eravamo quello che trasognavamo. E potevamo essere io e lei, noi e loro, noi e lui, noi e lei, tutto quello che volevamo. Solo che lo eravamo testa a testa, trasogno-in-trasogno. E per uno in ansia come me, fidatevi, non era poco. Vedete la scena?
Beh, a meno che non vi abbia dato l’accesso, vi state solo masturbando coi vostri stessi pensieri. Il trasogno era un fenomeno che si situava in una dimensione ulteriore.
Yumiko si sciolse la chioma dei capelli che arrivarono a strusciare sopra le lenzuola meteocangianti. Poi la fece fluttuare nell’aria come se fosse la criniera di una cavalla mai sazia di essere montata. I suoi occhi al riso, immensi e sinceri, erano latte versato sulle mie labbra.
Non dovevamo vedere per credere, né ascoltare per capire: noi ci conoscevamo perché eravamo noi stessi a farci esistere. Tutti i luoghi dove lo stavamo facendo, li creavamo nel momento stesso in cui trasognavamo l’una dell’altro.
Eravamo le due metà di un simbolo che si riunisce.
Eravamo un output automagicamente istradato da migliaia di input divergenti.
Eravamo una consunzione incarnale di sensi irreali.
Mi sentivo liberato dalla vita terrena, espanso in quella onirica. Yumiko diceva che per lei era lo stesso.
Re e schiava, Signora e mendicante, potevamo rinascere sotto le forme e le sembianze che più ci piacevano.
Il prurito alle dita si modellò in una carezza e poi in un’esplorazione oniromantica, dove uno si incuneava nell’altro. E non ci sarebbe stato molto da sorprendersi se io e Yumiko avessimo sbloccato il livello dieci del nostro Kamasutra di coppia.
Poi, saettammo lungo una vibrazione di piacere drenante. Piluccammo qua e là, centinaia di esperienze porneggianti.
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