All’inizio, quando vidi per la prima volta l’avatar di Yumiko, non potei davvero sospettare di nulla. Ora, invece, so più di quanto è lecito sapere. E non solo sul suo conto.
Le relazioni umane, anche quelle virtuali, possono prendere una piega così inaspettata che spesso viene spontaneo ritornare con la mente a quel primo drammatico incontro con un misto di incredulità e stupore.
Era una mattina come tante altre. Io stavo mangiando da Nu-wok dopo il turno di notte alla ReStore.
Ero eccitato e il troppo wasabi mi pizzicava sulle labbra.
Un’ugola fatata modulava delle melodie mielose, tutte orientali, dagli speaker del ristorante. Quello che stavo gustando, era da considerarsi come un antipasto di quello che si sarebbe svolto tra me e Yumiko: addentai con voracità l’ultimo di quattro uramaki al tonno e riposi le ohashi con le mie iniziali incise sopra nel taschino della camicia.
Me la sarei goduta… e non solo con gli occhi.
Avevo poco tempo. Eppure masticavo lento, concentrato su ciò che annettevo alla mia composizione chimica. Sulle piastrelle del muro di fronte impiastrato di blu, proprio sopra la mia testa, notai un haiku. L’autore del graffito, prima aveva usato del filo ricavato dal nori del sushi e poi ci aveva passato sopra uno spray molecolare.
Triste è separarci d’autunno
divisi in due
come bialve mollusco.[1]
Di fuori, tra i binari del tram e la gente che formicolava, il sole di agosto irradiava ogni superficie con un’energia intensa. Mi bagnai la gola con quello che restava della Asahi al ginseng. Poi feci una pallottola col cartone del take-away e centrai il cestino della spazzatura accanto all’uscita del Nu-wok.
Col mento, accennai alla cassiera tutto-fare, Maeko la minuta, che mi riforniva ogni giorno del nutrimento necessario a sopravvivere. Venivo spesso a mangiare da lei. Il nostro era un rapporto che definirei simbiotico, più che semplice cliente-fornitore. Lei lo sapeva e mi trattava con dolcezza. Una cura tutta particolare, tipica dei paesi orientali.
Le scaricai l’importo del menù Nikko (Luce del Sole) e mi defilai verso la tana.
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