Alex (Daniel Bruhl), ingegnere esperto di robotica che anni prima abbandonò il suo progetto più ambizioso, l'S-I 9, una perfetta replica di un bambino, è richiamato dalla sua vecchia Università per portare a termine il lavoro restato incompiuto.
Ritrova intatto il suo passato e anche le ragioni che lo avevano portato alla fuga: una donna, Lana, che poi è diventata la compagna di suo fratello.
Alex cerca un modello su cui plasmare la sua nuova creatura robotica e vorrebbe utilizzare Eva, una bambina che ha conosciuto casualmente e che le sembra molto più sveglia e reattiva dei maschietti coetanei.
Eva è la figlia di Lana e questo crea una situazione d'impasse nei rapporti tra i tre fino a che la sua ex gli rivela che non è una bambina come tutte le altre.
Incastonato in una suggestiva ambientazione invernale (ma allora è una fissa dei distributori italiani rilasciare film come questi nel bel mezzo dell'afa estiva), il film di Kike Maillo è una riflessione sull'eterna smania creazionistica dell'uomo che si vuole sostituire a Dio (vero Dr. Frankenstein?) e sul parimenti eterno tema del sentimento che si possa nascondere tra i circuiti prestampati di un androide.
Eppure questi scenari iperfuturistici in cui surrogati umani possono fare veramente di tutto sono mescolati sapientemente ad ambientazioni provinciali che hanno anche un sapore retrò. La computer grafica è usata in modo non invasivo e conferisce al film un'intelaiatura visiva fascinosa nonostante il budget modesto (poco più di 5 milioni di euro).
Eva più che alla fantascienza distopica su larga scala si dedica a una storia piccola, intima, un melò che diventata sempre più lacerante con i minuti che passano.
Si parla di replicanti ma non alla maniera di Blade Runner (dopo il quale qualsiasi film sull'argomento deve pagare pesantissimo dazio): siamo più dalle parti di Non lasciarmi di Romanek: una fantascienza distopica che si sofferma sulla sfera personale e sull'eterno dilemma riguardo ai robot: hanno emozioni o no?
La storia si ripete: da Collodi e il suo Pinocchio in avanti arrivando ad A. I. di Spielberg (ma in realtà progetto incompiuto di Kubrick) è stato tutto un susseguirsi di creazioni sempre più sofisticate da parte dell'uomo.
Qualcosa che lo replichi perfettamente sia fisicamente che emotivamente.
Il lavoro di Alex deve essere proprio questo: in un mondo in cui i robot antropomorfi possono essere benissimo dei domestici tuttofare con la possibilità di regolarne il livello di emotività e quindi personalizzare le reazioni a determinati stimoli, la sua missione deve essere quella di creare qualcosa di perfettamente assimilabile all'essere umano senza bisogno di input esterni.
E che cosa succede quando questo robot perfetto capisce di essere stato ingannato sulla sua natura e si ribella al suo creatore?
Dovrà essere condannato per aver avuto una reazione troppo 'umana' a una rivelazione sconvolgente?
E se ha avuto una reazione così umana allora si è arrivati al punto di non ritorno.
La missione di creare il replicante perfetto è totalmente riuscita ma si rivela errato l'assunto alla base.
Non deve sfuggire al controllo degli umani, non può averne le reazioni estreme che li caratterizzano.
Deve essere comunque più automa che uomo.
Questo il messaggio inserito con molta semplicità in Eva : il mondo vero è sempre migliore di quello fatto di surrogati.
Vuoi mettere il piacere di correre in spiaggia, giocare con la propria famiglia e coi propri cani in carne e ossa ?
Non potrà mai essere sostituito da gatti robotici fatti in lamiera e fibra di carbonio.
Eva è una fiaba che racconta il futuro ancorandosi al passato.
Il simbolo che meglio rappresenta il lato fiabesco è il cappottino rosso indossato sempre da questa bambina molto speciale.
E quando lo toglie è già consapevole del buio che la attende appena chiuderà gli occhi.
" Che cosa vedi quando chiudi gli occhi? "
Un buio senza ritorno.
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