Oggi, 5 luglio 2026, compio tredici anni e mio padre mi ha promesso un regalo “insolito”. Gli avevo chiesto una collana elettronica. L’ultimo modello della MicroShift pesa solo venti grammi ed è un gioiello high tech: microcamere al plasma e nano-computer quantistico, comandi vocali e collegamenti immediati via Internet, anche con la stazione spaziale e la Base sulla Luna. Può prenotarmi per un dialogo con gli astronauti in volo verso Marte, materializzarmi sulla retina immagini tv o dati di archivio e pagine di testo, improvvisare per me videogiochi ottici casuali, crearmi finte identità, e così via. Costa un tantino, ma papà...
La porta si apre, dev’essere lui!
— Giulio, alzati — dice papà abbracciandomi. — Auguri, oggi andiamo a prendere un regalo speciale.
Mi bacia anche Tecla, la mia giovane madre adottiva che è un clone della mia vera madre quarantenne, divorziata da papà. Tecla è identica a mamma però la considero più un’amica. Mi preparo e usciamo, tutti e tre.
— Sarà una vera sorpresa — dice papà.
Tecla ride, forse sa già. Io fingo indifferenza. Entriamo nella mini-auto, papà imposta il tragitto, la vettura parte con un leggero scatto. Sono sorpreso:
— Come mai andiamo fuori Bari?
Silenzio.
La temperatura esterna è sui 50 gradi, come al solito. È domenica e la città sembra un deserto.
In silenzio, trascinata dal mono-binario magnetico sotto l’asfalto, l’auto sparata supera la periferia, siamo sui 170 orari. La temperatura aumenta e i vetri si auto-opacizzano, è il minischermo a mostrarci l’esterno.
Arriviamo alle pendici della Murgia e cominciamo a salire. Le colline sono totalmente spoglie, con rari alberi rinsecchiti qua e là e nessuno si decide ancora a tagliarli. Il terreno è scuro, pietroso, solcato da crepe. Poco dopo in fondo al nastro d’asfalto intravvedo le cupole e il minareto di Zawilah, il paesino costruito da una delle comunità arabe pugliesi. So che ne creeranno altri, in Africa la temperatura ormai arriva a sfiorare i 70 centigradi. Parcheggiamo in una piazzetta con palme e un minareto, scendiamo e ci inoltriamo fra case basse in un dedalo di viuzze, finché papà si ferma davanti a un grande ingresso ad arco.
— Vai.
Entro, e vedo un dromedario.
— È tuo. — Papà parla in arabo con un certo signor Maliq, immagino contrattino costi e il parcheggio dell’animale. Ma accidenti! La collana-computer sognata da tanto tempo…
— Sali! — mi dice Maliq ridendo.
Mi ritrovo a cavalcioni sulla bestia e con la mente sono già via lanciato sulle sabbie e le dune desertiche della Murgia, verso l’interno, ricco di avventure strane e di mistero.
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