“C’è una dolce piccola storia dell’orrore che è lunga solo due frasi: L’ultimo uomo sulla Terra è seduto da solo in una stanza. Qualcuno bussò alla porta”: è l’incipit di Knock, racconto di fantascienza che Fredric Brown pubblica su Thrilling Wonder Stories nel 1948. Si prosegue con lo scenario di uno zoo alieno, con una coppia umana e altri animali, fino alla beffa che fa fuggire gli alieni… e il finale sono le stesse due frasi della sweet little horror story iniziale.[1] Lo sfondo, lo humor nero e il tema dell’incomunicabilità tra i due umani preludono già a Mattatoio 5 di Vonnegut. Però, ricordavano Everett Bleiler e Ted Dikty, curatori delle Best Science Fiction Stories del 1949 presentando la ristampa del racconto, Brown aveva ripreso la battuta iniziale da uno sketch di Thomas Bailey Aldrich, giornalista, romanziere e umorista di fine Ottocento, collaboratore di Mark Twain.
Forse è questa la chiave per comprendere cosa rende unico Fredric Brown, professionista della penna a cavallo tra due epoche. Da un lato, un umorismo al confine con il folklore, ancora più evidente nella forma della short-short story in cui è modello insuperato, che dal modello di Twain riprende una visione spesso tragica e disillusa. Dall’altro, una capacità di giocare tra i generi letterari, unita a una consapevolezza della realtà del presente, che lo pongono fermamente negli albori dell’epoca postmoderna a cui Brown appartiene: i racconti di Pynchon e Barthelme sono già dietro l’angolo. A incarnare questa condizione, una prolifica attività di scrittura professionale nell’epoca delle riviste. Inutile romanticizzare quell’epoca: riviste e collane paperback (insieme al giornalismo – articoli ma anche correzione di bozze) fornivano redditi tutt’altro che elevati e sicuri. La strenua intensità del lavoro di Brown ha qualcosa di tragico, e il blocco creativo degli ultimi anni (a cui non è estraneo l’alcol) può esserne una prova. Per qualcuno che – soprattutto grazie alla collaborazione con Hollywood, anche di altissimi livello: Harlan Ellison, Elmore Leonard, Richard Matheson – raggiunge un faticoso successo, altri sopravvivono o poco più. La straordinaria creatività della cosiddetta era “pulp” del dopoguerra è fatta anche di questi sottoproletari della penna: Sturgeon, Leiber, Woolrich, Dick… tutti hanno simili storie da raccontare. E le raccontano.
La carriera di Brown comprende poesie e un romanzo di puro mainstream: ma, come per Dick e Woolrich, sono i generi popolari ad assicurargli una reputazione. Di tutti i generi (il giallo classico e il noir, la SF, il fantastico, l’orrore) è libero manipolatore: la sua contaminazione va in ogni direzione, e molti dei suoi lavori sono anche meta-narrazioni, riflessioni sulla scrittura e sui generi stessi, talvolta con un’acuta consapevolezza “realistica” del tessuto sociale contemporaneo.
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