(ad HPL, Klarkash-Ton, Bho Blok...dispersi per sempre nel pluriverso di Weird Tales)

Apocalisse...

Lo so, a noi patetici mortali piace almanaccare sull’ipotesi che la Magia sia pura realtà. Ne immaginiamo le infinite scorciatoie per il Benessere, assaporiamo le intense meraviglie che travolgerebbero il nostro Anonimo Vivere. Nel confortevole tepore delle proprie case alcuni la percepirebbero come un esotico trastullo: la bionda e procace assistente, cinta di lustrini, che introduce sul palco l’elegante prestigiatore dai baffi impomatati. Immaginerebbero i loro stessi applausi mentre lo osservano estrarre dalle maniche del suo frac carte da gioco, colombe bianche e decine di fazzoletti colorati. O magari, come il Grande Houdini, fremerebbero di intenso piacere nel vederlo alle prese con una delle sue “fughe impossibili”: intrappolato in una camicia di forza all’interno di un bidone del latte riempito d’acqua! Si libererà per tempo?! Quanto gli occorrerà per ricomparire fra noi?!!

  Poi ci sarebbero le minuscole fate dai volti graziosi e le ali di seta, gli gnomi burberi e dispettosi che vivono nel sottosuolo, custodi di straordinarie ricchezze, ed i maghi dal berretto conico e la barba candida come quella di Santa Claus, pronti ad illuminare un principe od un imperatore con saggi consigli e sorprendenti alchimie. Tutto ci appare come una rassicurante astrazione, un gioco grazioso e addomesticato simile alle creature dalle bizzarre abitudini di Alice nel Paese delle Meraviglie. Un modo sbrigativo per ottenere gratis ciò che più desideriamo: la presidenza della “Federal Reserve” e un focoso amplesso con Cleopatra, Salomè o Sarah Bernhardt. Magari tutt’e tre nella medesima alcova.

Sciocchi.

Pazzi.

Se soltanto potessi comunicarvi la verità...

Rammento il giorno della nostra partenza come se fosse ieri. Anno 1905, decimo dell’Era del Razzo, quarantacinquesimo della Suprema Presidenza Lincoln.

  “La Luna Sovrana è pronta ad accogliervi a braccia aperte!”, ci declamavano affabilmente i “sapienti” della Base Franklyn a Cape Geronimo. Qualcuno in vena di scherzi l’aveva paragonata ad una prostituta da saloon molto generosa, pronta ad offrirci il meglio di sé, anche se il prezzo era tutt’altro che modico!. Da buon pastore della Chiesa Unica Americana, aggregato dai miei superiori alla squadra di solerti “astronaviganti”, respinsi simili trivialità ed elevai una preghiera a Nostro Signore per consentirci di traversare illesi l’oscuro mare di tenebre che ci attendeva là fuori.. Dopodiché venimmo tutti calati nei voluminosi scafandri ed introdotti nello scomodo abitacolo della Ulysses Grant (così chiamata in memoria dell’eroico generale caduto a Gettysburgh). Il Presidente in persona, quasi centenario e sorretto da due ufficiali dell’Unione, ci augurò buona fortuna e ci impartì la sua solenne benedizione in qualità di Capo dei Santissimi Stati Uniti d’America. Controllammo poi gli strumenti di bordo e la tenuta del motore atomico.

  La rampa di lancio venne quindi fatta sgombrare dalle migliaia di patrioti e cittadini che intonavano Glory, Glory, Alleluia: accalcati gli uni sugli altri come un gregge impazzito, ansiose di assistere all’esito di questa terza missione fra gli spazi interstellari. Considerando il terrificante destino toccato alle due precedenti, quella folla mi rammentò spiacevolmente le marmaglie plebee del Colosseo, di cui ci parlava il polacco Sienkiewicz nel suo Quo Vadis?. Masse assetate del sangue dei gladiatori o di quello dei nostri “primi cristiani” dati in pasto alle belve.

  Mentre dalla sala controllo i tecnici procedevano con il conto alla rovescia, mi sovvenne che, comunque andasse, avevamo già ricevuto il Nuovo Battesimo e la Cena del Signore. I nostri peccati ci sarebbero stati condonati ed i nostri nomi sarebbero finiti nel Gran Libro D’Oro dei martiri della Cristianità, qualora il Cristo Gesù avesse deciso di convocarci alla sua luminosa presenza. Il nostro equipaggio era composto dal Comandante Richard Carlson, veterano della II Guerra di Secessione e valoroso sperimentatore dei primi razzi volanti contro i Confederati e la bieca Alleanza dei Pellerossa Non battezzati, dal dottor Kevin McCarthy, luminare del Centro Medico Nightingale, dagli ufficiali James Arness e John Agar. Infine io, il Reverendo Jack Arnold, della Chiesa di Nostra Signora di Washington, delegato ad impiantare sul suolo lunare la bandiera americana a stelle, croci e strisce.

  Decollammo, finalmente, con una forza di propulsione simile a quella di un proiettile esploso da una ciclopica carabina. Superammo la barriera astrale ed il pulviscolo biancastro dell’arcano satellite e la nostra velocità ci consentì l’approdo a destinazione nel giro di un’ora.

  Ciò che aggredì i nostri sensi, appena discesi dalla nave, smentì la maggior parte delle ipotesi e dei calcoli compiuti dai nostri luminari e scienziati. La gravità e l’atmosfera non erano tanto dissimili da quelle terrestri, ma le rovine di un’antica civiltà decoravano una superficie arida, disseminata di crateri. Un tempo, mille e più anni fa, i Seleniti dovevano essere stati una razza di grande cultura e conoscenze (anche se irrimediabilmente "pagane"). Forse le loro “macchine di Icaro” erano giunte più volte in visita sul nostro mondo: gli enigmatici disegni della Pianura di Nazca, scoperti appena l’anno scorso nell’America Bassa, e le inquietanti statue dell’Isola di Pasqua potevano esserne probabili testimonianze. Ma di quel favoloso passato non rimaneva ora che uno sterminato cimitero di roccia bianca.

  A chi avremmo recato la Parola di Dio?

  L’iniziale scoramento, però, abbandonò rapidamente il nostro animo per merito della Grazia Celeste che aveva ispirato sin qui i nostri passi.

  Eravamo usciti da ben due guerre fratricide con l’ausilio della nostra Scienza e della Fede in Dio. Nella conquista dello spazio, avevamo battuto sul tempo gli infidi Angli Cromwelliani, gli spietati Zaristi di Rasputin e il tentacolare Impero del Drago. Su quella desolazione avremmo eretto la cattedrale più imponente nella storia della nostra Patria Benedetta!!

  Ci liberammo degli insopportabili scafandri ed io stesso celebrai una Messa di Ringraziamento, dopo aver “purificato” il suolo con acqua benedetta. Decisi quindi di allontanarmi per mio conto mentre gli altri operavano alcuni rilievi scientifici, in modo da osservare meglio le sculture e i bassorilievi di quegli imponenti palazzi in disgregazione. Camminai per non so quanto tempo su strade asfaltate ma piene di fori e voragini, guardandomi intorno come uno scolaro alla sua prima gita lontano da casa. Le incisioni mostravano creature simili a noi, dai corpi più esili e dai tratti assai simili alle genti del Katai1, dedite a bizzarre gestualità che tuttavia non mi parvero del tutto estranee. Un brivido improvviso riscosse i miei sensi e la memoria, affaticate da quell’incredibile viaggio: quelle pose le avevo già osservate altrove sulla Terra, alcuni anni fa! Mi trovavo in una splendida villa del Massachusetts, nella ricca biblioteca del mio amico, il senatore Clark Ashton Smith. Si trattava di un almanacco per l’infanzia, abbandonato fra cataste di volumi di scarto: era dedicato a Re Artù ed ai suoi Cavalieri della Tavola Rotonda, uno di quelli con poco testo e tantissime illustrazioni colorate. La lettura preferita di Robert ed Howard, i figlioli del senatore, quand’erano ancora bambini. Uno dei disegni mostrava un primo piano del misterioso e potente Mago Merlino, figlio bastardo di Satana secondo alcune tradizioni, mentre scagliava un incantesimo contro un esercito di nemici agguerriti, tracciando alcuni segni nell’aria.

  Riflettei, eccitato e confuso da quell’incredibile rivelazione. Dunque era vero! In ere remote i Seleniti erano sbarcati fra di noi ed avevano trasmesso alle tribù precristiane i rudimenti delle esecrabili arti magiche e stregonesche. Questo giustificava il nostro continuo accostare la luna ad ogni sorta di maleficio o sortilegio: dalla presenza del lupo mannaro agli immondi riti orgiastici celebrati in onore della Magna Mater. Ai pallidi raggi di questo ambiguo satellite si erano anche ispirate straordinarie opere letterarie quali la Storia Vera di Luciano di Samosata, e L’Altro mondo o gli stati e gli imperi della luna di Cyrano De Bergerac.

  Vagai per qualche tempo in preda ad un ossessivo fantasticare. Forse sarebbe stato meglio abbandonare quelle lande segnate dal marchio di Lucifero per non farvi più ritorno. Forse occorreva condurre lì con noi qualcuno dei miei confratelli abilitato a praticare esorcismi.

  Infine lo vidi. Era come se una delle figure nei bassorilievi avesse preso vita: alto e gracile quanto un fanciullo denutrito, gli occhi a mandorla e sfarzose vesti ormai lacere e consunte. Doveva esser stato un Re o un Gran Sacerdote innumerevoli ere fa, ma ora di lui restava soltanto un decrepito eremita biascicante, ignaro dei segreti di una Stirpe che non era più.

  Si accorse subito di me e, rivolgendomi un sorriso da folle, si diede ad una forsennata fuga. Lo inseguii come ipnotizzato, attirato da quel “fantasma” come una falena dal fuoco annientatore. Strade dissestate, costruzioni cadenti e statue divelte sembravano animarsi al nostro passaggio, curiose di osservare i bizzarri “profanatori” del loro sonno sepolcrale...

  Ci rincorremmo fino alle vestigia di un tempio dalle alte colonne di uno stile vagamente greco-romano. Soltanto quando lo raggiunsi ai piedi di un’imponente scalinata notai le sue mani unte di uno strano liquido multicolore e, alle sue spalle, una sorta di tela immacolata dalla curiosa forma circolare. D’un tratto, quell’essere mi voltò le spalle come se non avessi più alcuna importanza per lui. Tutta la sua attenzione era rivolta alla tela che impiastrava con le dita colorate. Nella mia mente si formò, in un lampo accecante, la visione di uomini delle caverne intenti a ritrarre le prede da cacciare: un rituale per catturare l’essenza dell’animale prescelto ed essere certi di abbatterlo. Fu In quell’istante che, inorridito, mi feci il segno della croce. Il Selenita stava dipingendo me!

  Scappai via, stordito da un superstizioso terrore. Stelle color sangue deflagravano a milioni per incoronare quel cielo straniero, in preda ad una sorta di folle Tregenda. La terra sussultò e si contorse ai miei piedi, espellendo artigli di roccia bramosi delle mie carni. Forme di vita né animali né vegetali emergevano da spaventose voragini e si esibivano in danze ipnotiche e blasfeme sotto il mio sguardo atterrito.

  Ma quell’insondabile pantomima servì a scuotermi dal torpore che mi aveva posseduto finora.

  Corsi verso la Grant, pregando che i miei confratelli non stessero patendo il medesimo sortilegio. Pregando di ritrovarli vivi.

  Sperai di aver smarrito il senno. Che fosse tutto un incredibile incubo, frutto di una sconosciuta radiazione.

  Non ero pazzo, purtroppo.

  L’alieno (il Selenita) era un mago, un potentissimo mago. Il più grande della sua razza. Capace di sopravvivere all’infinito all’insondabile ecatombe abbattutasi sui suoi simili. Le sue “pennellate” avevano forgiato l’orrore di quegli ultimi istanti imprigionandolo nel freddo tessuto della tela.

  

Maghi.

E Pittori.

Non avrei mai più raggiunto i miei confratelli ma in compenso loro, intenti nella mia disperata ricerca, avrebbero fatto una singolare scoperta. Un dono bizzarro da portare via con sé nel viaggio di ritorno...

Mesi? Anni? E’ tanto che ne ho perso il conto. Resto qui, in cima a questa collina, contemplando un universo pietrificato che non muta mai. Prigioniero di una altrui “creatività”.

  Un eternità o una manciata di secondi, relegato in questa “cella” nel Museo delle Arti e Sapienze di New York

  Faccio sempre più fatica a ricordare il mio nome e il mio aspetto. Ma per i visitatori ed i custodi sono semplicemente l’uomo. 

L’UOMO DEL PAESAGGIO LUNARE.