Sono trascorse quarantotto ore da quando ho lasciato “The Unicorn”. Sdraiato sulla branda d'alluminio del mio monocubo, solo due livelli più su di quello del pub, fisso inerme la fioca e baluginante luce al neon con l'encefalogramma quasi piatto. Fuori, riesco a malapena a captare lo scroscio della pioggia insistente e il gelido e metallico rombare dei Tank del “Security Pool”. Mi sento nuovamente inutile, privo di ogni stimolo, svuotato internamente come un tetrapak. Guardo per un attimo la sveglia, ma l'esperienza di Dandy ha lasciato segni indelebili. La vista è di nuovo peggiorata. Le cifre digitali sono ora solo un insieme di nodi luminosi. Potrebbero essere le due, o forse le tre di notte. Per averne la certezza dovrei sollevarmi dal letto e puntare più da vicino lo sguardo, strizzando gli occhi come fanno gli astigmatici. Ma non ho nessuna voglia di farlo e quindi rimango supino, la fronte madida di sudore, il fiato grosso, ad aspettare che anche questa seconda crisi d'astinenza passi.Solo alcuni mesi fa l'incontro con Dandy mi assicurava almeno una settimana di tranquillità emotiva, di felicità interiore che si trasformava in un atteggiamento benevolo anche nei confronti di chi mi frequentava. Oggi, riesco a malapena a resistere una giornata intera, poi cominciano le fitte allo stomaco, i conati di vomito, i giramenti di testa. E' come se mancasse una parte di me. Mi sento come un serbatoio di carburate in riserva che ha bisogno di essere ricolmato al più presto, altrimenti la macchina si ferma. Ho bisogno di riempirmi di emozioni, di musica neurale; per chiedermi a quale delle tante voci interiori dare retta. Non è facile accorgersi del passaggio alla dipendenza, puoi solo percepirlo da nuovi tic che prendono il sopravvento, dall'inappetenza che ti corrode e da un lento e progressivo calo della vista, provocato in parte da mancanza vitaminica. Se continua così sarò costretto a sostituire almeno un occhio con il package hardware di serie. Nelle cliniche dei primi livelli un bulbo oculare estirpato mi può procurare anche un buon gruzzoletto che saprei godermi per qualche giorno. Sì, mi sembra una buona idea: ci andrò la prossima settimana, in clinica.
E pensare che proprio le prime esperienze con Dandy riuscivano a farmi dare il meglio di me stesso. Hellen fu la prima ad apprezzare quel comportamento divertito, quasi goliardico. L'incontro con lei fu casuale, ma solo dopo mezz'ora che ci parlavamo mi guardava con occhi che brillavano di una luce speciale. Il suo sorriso era accattivante e il corpo, per quanto esile e biancastro, nascondeva dietro la sua divisa di nera pelle borchiata, due grossi seni invitanti.
Ora lei è qui, vicino a me, in un piccolo videoriquadro della segreteria telefonica. Il fermo immagine traballa, e il suo volto pare una maschera di dolore. Ho ascoltato il suo messaggio appena rientrato dal pub, ma per l'ennesima volta non l'ho degnata di una risposta. “Sono tre mesi che sei sparito dalla circolazione”, aveva quasi pregato. “Non farti chiamare di nuovo. Ho bisogno di te. Sai, da ieri ho una grossa novità, telefonami... Se ti vuoi fare desiderare, ci stai riuscendo benissimo! Telefonami... ti prego, ti amo”. Non ho neppure riavvolto il nastro. Mi piace l'idea di Hellen al mio fianco che dal piccolo monitor resta lì, in attesa, in balia delle mie indecisioni. Come un pesce che boccheggia silenzioso nel suo acquario. Se solo sapesse che dall'ultima volta a casa sua mi sono ridotto così, probabilmente cambierebbe atteggiamento. Lei conosce il mio piccolo vizio, naturalmente. Però non ha mai voluto provare personalmente che cosa significhi abbandonarsi al fluttuare leggero di note elettroniche che ti piovono nel cervello come fresche gocce d'acqua e ti liberano dal fango della società. Se solo potesse minimamente immaginare cosa si prova...
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