Pioggia fitta e insistente. Pioggia putrida che penetra nelle ossa e ti fa sentire più marcio di quello che sei. In questo mondo che è diventato un' illimitata palude. Dove affondano persino i locali underground. Tra i tanti che conosco c'è quello del quartiere scozzese di Oldish, che frequento da qualche tempo. L'insegna barcollante, avvolta dalla palta che piove dal cielo, lascia vagamente intravedere l'immagine del leggendario animale che caratterizza il locale. “The Unicorn” è forse uno dei pub più malfamati della città. Uno di quei posti dimenticati da Dio. Le composizioni floreali multicolori sono un vago ricordo; hanno lasciato il posto solo ai muri sgretolati, impastati di fango. I neon fluorescenti sono saltati in cascate di scintille e nessuno si è mai posto il problema di sostituirli.
Oscure ombre, al suo interno, si spostano tra il brusio generale e qualche grassa risata proveniente dagli antri più nascosti. Rozze sagome di sconosciuti stazionano davanti al banco di noce massiccio che sopporta da anni il peso della disperazione di una società allo sfascio. Tre candelabri accesi illuminano a stento il locale, e certe volte si fatica persino a individuare il barman per l'ordinazione.
Riesco vagamente a riconoscere gli scabri lineamenti di Dandy, avvolto dal fumo del suo sigaro puzzolente. Sta sorseggiando un whisky sintetico appoggiato con le braccia meccaniche a uno dei tavoli. Il suo volto è truce, lo sguardo gelido fisso nel vuoto.
Mi avvicino a lui con circospezione. Sollevo istintivamente il colletto del mio giubbotto di pelle nera. Sento il cuore pulsare forte tra le costole di simil-alluminio. Ho paura di tutti quei pesanti occhi che si posano su di me. Cerco allora di guardare fuori attraverso una delle piccole finestre. Con falsa disinvoltura. Sono a pochi metri da lui. Mi fermo e attacco le labbra alla solita pinta di lager lanciatami dal barman, incurante della sporcizia incollata al bicchiere.
Mi ha visto.
Dandy fa un movimento con la testa. Significa che accetta la mia visita. Posso sedermi al suo tavolo.
Riconosco alcuni volti pallidi ed emaciati, ricchi solo di cicatrici provocate dalle lame affilate di qualche nemico notturno. Rozzi rutti si alternano da un angolo all'altro, e nonostante la tetra oscurità del luogo, si può scorgere qualche sparuto gruppetto che traffica con sostanze stupefacenti di poco conto. Non è quello il paradiso che mi interessa.
Negli occhi di tutti scorgo lo sguardo assente e spiritato, il terrificante messaggio di chi non ha più nulla da perdere nella vita. Il corpo vagante nella pattumiera della società e l'anima persa per via delle mille scommesse fatte con il demonio. E quando questa immagine si fa più viva in me, l'unico rimedio è affogare negli scomparti cerebrali di Dandy. Là dove, per poco più di cento piastre, la tua mente si depura, si rigenera. Abbandonata nell'eternità di un attimo scandito dalla felicità artificiale.
Forse, tra quella gente raccolta negli scuri impermeabili impregnati di fritto e di muffa, qualcuno sta complottando il prossimo colpo in uno degli uffici-bunker del quartiere dirigenziale. Certamente non si tratta di Dandy, il migliore spacciatore di emozioni sonore racchiuse nei suoi circuiti elettronici mischiati a caldo sangue pulsante. Il cyborg che attinge a banche dati sconosciute e che ti inchioda davanti a se per interminabili minuti di musica fatta di emozioni, che ti regala un fazzoletto di gioia, suoni senza parole da interpretare.
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