Diede di sprone a Enos che si allontanò al galoppo mentre il muro carnoso degli ameboidi si richiudeva alle loro spalle.
Dopo un po' Hal Doren fece rallentare l'animale. Occorreva riattraversare la boscaglia intricata e stare bene attenti a evitare qualche altra creatura informe e grigiastra.
Il tragitto di ritorno fu parecchio più lungo dell'andata. Enos era più stanco e doveva portare due persone in groppa, e Hal Doren non voleva sforzarlo più del necessario.
Quando arrivarono a casa di Hal era ormai “sera”, non se ne accorsero dalla variazione della luminosità all'esterno o dalla posizione del sole che si era impercettibilmente spostato verso est, ma dal fatto che le finestre polarizzate si erano nettamente oscurate.
Volendo, Hal Doren avrebbe potuto annullare la polarizzazione automatica, ma preferiva accendere la luce nelle stanze; gli sembrava che desse alle giornate un ritmo più simile a quello che avevano lasciato sulla vecchia Terra.
Per prima cosa, Hal si occupò del cavallo. Sistemò Enos nella scuderia, gli riempì le mangiatoie di acqua e di abbondante fieno fresco, cui aggiunse qualche mela e un pugno di carrube di cui l'animale era ghiotto.
- Ecco -, gli disse carezzandogli il robusto collo, - Te lo sei proprio meritato.
Poi Hal e Nina si lavarono, si cambiarono, consumarono un boccone di cena e andarono a letto.
Fecero l'amore con un'intensità e una passione come non capitava loro da diverso tempo, forse era l'effetto dello scampato pericolo.
Si svegliarono che era notte fonda, almeno prendendo a metro di misura l'oscurità che regnava nella camera, perché sicuramente al di là delle finestre polarizzate continuava l'interminabile giorno venusiano.
- Quanto tempo durerà? -, chiese lei, - Quanto tempo pensi che abbiamo?
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