Cinque anni fa ci lasciava, per approdare molto probabilmente sul pianeta Tralfamadore, Kurt Vonnegut Jr.
Al di là della sua appartenenza o meno alla fantascienza e delle sue personali considerazioni sul genere, Vonnegut è uno dei più grandi cantori del nostro secolo, ma non c’è dubbio che l’apporto che ha dato al genere è da considerarsi notevole e originale.
Anche se bisogna dirlo, lo scrittore americano non amava essere etichettato come autore di science fiction. Ecco cosa scrive a proposito della reazione dei critici al suo primo romanzo Player Piano (1952), pubblicato in Italia sia con il titolo Distruggete le macchine sia con quello di Piano meccanico.
“Anni fa ho lavorato per la General Electric a Schenectady e, accerchiato com’ero da macchine e da idee per macchine, non ho potuto far altro che scrivere un romanzo che parlasse di persone e di macchine, e in cui spesso le macchine avevano la meglio sulle persone, come del resto capita nel mondo reale. (Si intitola Piano Meccanico ed è stato ripubblicato sia in hard cover che in edizione tascabile). È stato allora che i critici letterari mi hanno informato del fatto che ero uno scrittore di fantascienza. Non lo sapevo mica. Pensavo di aver scritto un romanzo sulla vita, sulle cose che mi toccava vedere e ascoltare a Schenectady, una città più che reale, un’inquietante presenza nel nostro quotidiano già tanto spaventoso. Da allora mi hanno fatto entrare a forza in un cassetto etichettato «fantascienza», e adesso vorrei tanto uscirne, soprattutto perché molti dei critici più rispettabili scambiano spesso questo cassetto per un orinale”.
Sono tre, in particolare i romanzi che vengono considerati fantascientifici: Piano meccanico, per l’appunto, Ghiaccio Nove e Le Sirene di Titano.
Le note biografiche di Vonnegut Jr. ci dicono che è nato a Indianapolis, l’11 novembre del 1922, da Kurt Vonnegut ed Edith Lieber. Terzogenito di una famiglia di origini tedesche (il nonno emigrò negli USA nel 1848), che perse quasi tutto il patrimonio nella Grande Depressione del 1929, a 21 anni, nel 1943, lo scrittore si arruola nell’esercito americano e nel 1944, dopo che sua madre muore suicida, viene catturato in Germania, dove nel 1945 sopravvive al bombardamento di Dresda. Rilasciato dai russi che hanno occupato la città tedesca, ritorna negli Stati Uniti, dove riceve una medaglia per le ferite subite in guerra.
Questi pochi dati biografici sono il motivo essenziale di un certo pessimismo di fondo di cui è pervasa la sua narrativa, filtrata però attraverso la lente della satira. Un pessimismo che nasce dalla consapevolezza che il sistema dei poteri forti non può che essere combattuto in prima istanza da chi quel sistema ha contribuito a costruirlo e a renderlo un’efficiente macchina da guerra. Un tema di grande attualità oggi, in cui la finanza e i mercati economici sembrano essere in qualche modo la musa ispiratrice delle decisioni governative, soprattutto di quei paesi che si dichiarano democratici.
Attraverso la lama affilata dell’ironia, Vonnegut ha messo in discussione la società del ventesimo secolo, in quasi tutti i suoi aspetti: la scienza, apparentemente fonte di progresso, ma spesso sinonimo di distruzione di massa; la religione, considerata niente di più che un buon metodo per nascondere la realtà alla gente; la lucida follia che sembra animare l’establishment politico-militare di vari paesi. Bersaglio diretto resta comunque l’America, almeno quella parte del paese che non perde l’occasione per ergersi a difesa del mondo.
Una lezione che non dobbiamo dimenticare e soprattutto dovrebbero tener conto gli scrittori di fantascienza contemporanei.
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