C’era una nota petulante nella voce del capo del governo. – Perché nessuno mi dice mai niente, da queste parti? Come prevedibile, non ci fu nessuna risposta.
– Ho deciso che mi serve un trust di cervelli – gli disse il capo di stato degli Stati Uniti delle Americhe. – Datevi da fare.
– Sì, signor Presidente. Un trust di cervelli.
Il presidente chiuse la comunicazione e si rivolse a Weigand. – Cosa fai stasera? – chiese.
– Ho un appuntamento con una ragazza.
– Be’, puoi portare anche lei.
Weigand lo guardò a disagio. – Sì, signore. Dove?
– Alla festa all’Ambasciata del Blocco Sovietico.
– Ma sono già stato a una festa all’Ambasciata Sovietica. Si mangia caviale e storione affumicato e si brinda alla pace, alla coesistenza e alla fratellanza fino a crollare.
Il Presidente si picchiettò due o tre volte il naso con l’indice della mano destra. Era il tipico gesto che indicava un comportamento astuto da parte sua, con una sfumatura di uso di straordinaria saggezza. Ed era una delle croci del suo addetto stampa.
– Quel Nick Strogonoff, o come diavolo si chiama…
– Stanislov – disse Weigand. – Il nuovo ambasciatore del Blocco Sovietico.
– La CIA mi ha passato un paio di informazioni su di lui. Primo, non regge tanto bene l’alcol. Secondo, poco prima della sua nomina era coinvolto nel loro programma spaziale.
– Quindi – disse Patrick.
– Quindi vogliamo sapere quanti uomini progettano di piazzare nella loro colonia lunare. Se sono più dei nostri otto, dovremo ingrandire la nostra colonia.
– Pensavo che ce ne bastassero otto. Due fisici, due astronomi…
– Non se i russki ne mandano più di otto. – Il Presidente agitò un dito verso il suo segretario-Venerdì. – Un sacco di gente sembra non rendersi conto, figliolo, che la corsa allo spazio continua. Tutto cominciò quando la CIA informò Eisenhower che i russki progettavano di mettere in orbita un satellite artificiale in quell’anno geo-quello-che-era.
“Ike aveva qualche ragazzo sveglio in squadra. Prima che i russki potessero annunciare il loro piano, noi trasmettemmo uno speciale programma TV annunciando che noi avremmo messo in orbita un satellite artificiale nel 1957. Quando i russki se ne uscirono il giorno dopo dicendo che anche loro stavano per lanciarne uno, tutti risero. Fu il nostro primo trionfo spaziale.
– Il problema – disse Weigand Patrick – era che fino a quel momento non avevamo lavorato a nessun progetto del genere.
– No, ma cominciammo immediatamente. Ovviamente i russki figli-di-troika lanciarono prima il loro sputnik. Poi arrivarono primi molte altre volte, come con il primo cane nello spazio, il primo uomo, la prima orbita lunare, la prima donna, il primo equipaggio di tre uomini, la prima passeggiata spaziale.
Il Presidente fece una faccia afflitta. – Alla fine li abbiamo raggiunti. Ma sai, figliolo, in qualche modo nessuno — Eisenhower, Kennedy, Johnson, tutte le amministrazioni dall’inizio del programma spaziale — nessuno sembrava fare progetti su cosa fare una volta raggiunta la luna. Tutta la faccenda si è fermata.
Si batté modestamente una mano sul petto. – È toccato a me. La corsa allo spazio continua. Dobbiamo battere i russki costruendo una colonia più grande della loro.
– Sì, signore – sospirò Weigand. – Questo cos’ha a che fare con la mia partecipazione alla festa del Primo Maggio all’Ambasciata del Blocco Sovietico?
Il Presidente gli puntò contro un dito. – Strogonoff…
– Stanislov.
– Comunque si chiami. Si sbronzerà. Praticamente è obbligato. Per un comunista è antipatriottico non ubriacarsi il Primo Maggio. Tu sarai nei paraggi. Porterai la conversazione sulla colonia lunare. Forse si lascerà sfuggire qualche indizio.
Weigand Patrick sospirò di nuovo. – Va bene – disse.
Risuonò la voce di Scotty. – Signor Presidente, il Segretario Bollix è arrivato.
– Bene, fallo entrare. – Il Presidente aggiunse distrattamente, rivolto a Weigand: – Cosa accidenti era che voleva Bollix?
Patrick si alzò dalla poltrona e prese la pipa e la borsa del tabacco.
– Il suo Programma Avanzato – disse. – Probabilmente vuole discutere quella sua idea di trasformare il Wyoming in un Parco Nazionale, metterci tutti gli indiani superstiti vestiti alla vecchia maniera, ripopolarlo di bufali e così via.
Il volto dell’altro si illuminò. – Ah, sì. La soluzione finale della questione del Parco Nazionale. Un Parco Nazionale abbastanza grande da ospitare tutti i turisti. Cosa ne pensi dell’idea di fondo, figliolo?
Patrick disse, infelice: – Penso che gli indiani finiranno per scotennare ogni auto carica di turisti che si presenterà.
Il Presidente lo guardò tetro. – Domani fammi sapere com’è andata la festa, figliolo.
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