Si fa sempre più forte il sospetto che siano coinvolti quei porci dei federali. Loro avrebbero i modi e le conoscenze per farlo, loro potrebbero…Per fortuna, Jane si è offerta di accompagnarmi un po’ in giro. Non abbiamo camminato molto perché le mie gambe scricchiolano un po’ e, a dirla tutta, non mi sento proprio in forma. Mi sento abbastanza strano, a voler essere davvero sinceri. Ma credo che sia il minimo, dopo che le ultime settimane ti sono state strappate dalla memoria.
La Città, da quello che sono riuscito a vedere, somiglia molto al peggior incubo partorito da un viaggio lisergico: se c’è qualcuno che può descriverla bene, questo qualcuno sarebbe William Burroughs. Se qualcuno può dipingerla, il risultato avrebbe i toni di una xilografia di Gustave Doré. Questo posto è un’interfaccia elettrica in cui l’artificiale si sposa al reale in un connubio repellente e allo stesso tempo naturale. È l’Interzona, ovunque essa sia.
Ma niente mi ha sconvolto quanto l’avvertimento di Jane dopo che siamo rientrati. “Stai lontano dalle stanze di sotto” mi ha detto prima di lasciarmi di nuovo. “Là sotto striscia il kipple”.
Non credo che abbia avuto modo d’apprezzare l’espressione di puro terrore che mi si deve essere impressa sul volto al suono di quella maledetta parola!
Una scia di fogli ricalcava le sue orme. Phil aveva sentito il bisogno di sgranchirsi le gambe dopo la prima mezzora trascorsa a leggere quelle farneticazioni deliranti. Aveva fatto un breve sopralluogo dell’appartamento del niente affatto compianto JF Sebastian, quindi aveva ripreso a leggere i diari onirici percorrendo avanti e indietro il laboratorio e i corridoi adiacenti. Ripassando le pagine già lette, se le era lasciate cadere alle spalle, tracciando in questo modo il sentiero di carta che si snodava adesso sui suoi passi.
Nel corso di una pausa, gettò un’occhiata furtiva alla valigetta che s’era portato laggiù e che aveva posato sulla scrivania. Dentro c’era l’apparecchiatura necessaria a eseguire il test.
Phil tornò a guardare le righe scritte dalla preda e si chiese se quel materiale non bastasse da solo a inchiodarlo. Probabilmente sì, ma Phil stava diventando un cacciatore scrupoloso. Dopotutto, il Voigt-Kampff non gli avrebbe portato via molto tempo e, oltre a confermargli la necessità del ritiro, sarebbe servito comunque ad allungare l’agonia esistenziale del replicante.
Vederli soffrire, mentre vedevano crollare le rispettive certezze e cominciavano a dubitare della propria stessa natura, dei propri ricordi e della propria umanità, era in fin dei conti la parte più divertente dell’incarico.
Il kipple, questa minaccia strisciante nata dalle mie ossessioni, sembra esistere davvero, quaggiù. Lo sento muoversi ai piani più bassi, una creatura amorfa e mutevole che gratta con artigli invisibili contro le pareti scalcinate, alla ricerca di uno spiraglio per invadere nuove stanze abbandonate, assimilando così nuovi scarti al proprio dominio di caos e abbandono. Vuole metabolizzarli per conquistare altro territorio vitale. Deve farlo: ne ha bisogno.
La lotta che l’entropia combatte contro l’energia, l’organizzazione, l’efficienza, non conosce tregue o zone franche. La minaccia della disgregazione, del decadimento, del degrado serpeggia nell’ombra, insidiando il futuro di tutte le cose e, con esso, la sopravvivenza stessa del mondo.
È la Prima Legge del Kipple: Il kipple scaccia il non-kipple.
Sempre. Questo lo ricordo bene. Sono stato io, in fondo, a formularla…
Ho chiesto ai due sgorbietti se loro si sono mai avventurati di sotto, se conoscono in qualche modo l’origine di questi sinistri rumori notturni. Credevo che la bambina volesse prendersi gioco di me, ma quando ho sentito la risposta di Kaiser Wilhelm ho capito che, se di complotto ai miei danni si tratta, la cospirazione ha allungato un po’ ovunque i suoi infidi tentacoli.
“Non c’è bisogno di scendere di sotto per sapere com’è”, mi ha detto. E quando io ho insistito per sapere come fosse, lui ha sentenziato laconicamente con un’altra parola che mi ha lasciato basito: putrìo.
Comincio a credere che qualcuno abbia voluto giocarmi un brutto scherzo. Le agenzie governative – ragni velenosi che si muovono pazientemente sull’orlo dell’abisso, lungo la confusa linea di confine che corre tra la legalità e la clandestinità, trascendendo con disinvoltura la comune misura delle libertà individuali del cittadino – avranno sicuramente accesso agli strumenti necessari per allestire una messinscena come questa.
Forse sono in uno studio cinematografico. Magari è tutta una simulazione, predisposta ai miei danni…
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