In quell’anno pubblicò poi uno dei suoi racconti più belli e importanti, “Noi, temponauti”, scritto l’anno prima in preda a una “stancante tristezza”, in cui tre viaggiatori temporali si ritrovano intrappolati in un loop infinito da cui tenteranno di venir fuori solo grazie a un gesto di grande amore e misericordia, dall’esito per loro fin troppo prevedibile. Classica storia di viaggi nel tempo per un verso, per molti altri il racconto rappresenta invece un’assoluta novità, trasfigurando le suggestioni del Programma Apollo (che in quegli anni arrivava agli sgoccioli) e dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy (di cui sembra quasi una commemorazione, scritto sull’onda emotiva del decennale), e del loro profondo impatto sull’immaginario popolare americano.Comunque fu probabilmente quello il periodo più gratificante della sua vita, accanto a Tessa e agli amici K.W. Jeter, James P. Blaylock e Tim Powers, scrittori emergenti incontrati nel 1972. Ex ateo convinto, si convertì alla Chiesa episcopale. Ma nemmeno l’acquisita tranquillità bastò a esorcizzare le visioni mistiche. Le sue esperienze di distacco dal mondo reale sarebbero terminate solo il 17 novembre del 1980, esattamente nove anni dopo la distruzione dei suoi archivi.Malgrado tutto, negli ultimi anni della sua vita Dick giunse a liberarsi dall’ossessione delle droghe, di cui fornì un ritratto disincantato e finanche crudele nel cruciale Scrutare nel buio (A Scanner Darkly, 1977), dedicandosi in prima persona a combatterne la diffusione, specie tra i giovani. Le questioni metafisiche, religiose e teologiche tornano nei romanzi di quest’ultimo periodo (Valis, Divina Invasione e La trasmigrazione di Timothy Archer, ovvero VALIS, The Divine Invasion e The Transmigration of Timothy Archer), riuniti nella cosiddetta Trilogia di Valis (1982).Sul finire dei Settanta Dick tornò a occuparsi di cinema. L’opzione della Jaffe portò a una prima sceneggiatura. Tuttavia, anche per via di un approccio poco ortodosso alla materia, lo script che Robert Jaffe derivò da Do Androids Dream of Electric Sheep? stravolgeva il tema dell’opera e riuscì a suscitare solo le ire dell’autore. Dick s’incontrò personalmente con Jaffe ed ebbe modo di discutere con lui i miglioramenti da apportare, ma poi fino alla fine del ’77 non si mosse più niente. Finché l’opzione cadde e fu rilevata da Hampton Fancher, con l’intercessione di Brian Kelly. Dick ne sarebbe rimasto all’oscuro fino al 1980.Quando la produzione del film – inizialmente intitolato Dangerous Days – era ormai avviata, Dick giunse finalmente in possesso di una riscrittura della sceneggiatura dello stesso Fancher e la condannò pubblicamente. Allora i produttori si decisero a coinvolgerlo marginalmente nella lavorazione, lasciandolo comunque estraneo alla realizzazione dell’adattamento. La riscrittura decisiva fu opera di David Peoples che mise in atto i numerosi suggerimenti di Ridley Scott, modificando la sceneggiatura di Fancher soprattutto nei dialoghi e gettando le basi concrete per Blade Runner. Dick lesse il copione nel febbraio del 1981, rimanendo molto colpito dal lavoro di Peoples, che meritò così al progetto la benedizione dell’autore. Le sue impressioni positive furono confermate dalla visione di alcune sequenze finite, nel dicembre di quello stesso anno. La proiezione di questi spezzoni è documentata da una preziosa foto in cui Dick appare sorridente al fianco di un Ridley Scott visibilmente soddisfatto. È questa l’ultima immagine che ci resta di lui, il simulacro di un uomo finalmente sereno.Dick non poté mai vedere l’opera completa. Morì di colpo apoplettico quattro mesi più tardi, all’età di cinquantatre anni, il 2 marzo del 1982, lasciando tre figli, quasi cinquanta romanzi tra editi e le premesse per un culto che sarebbe dilagato negli anni successivi su ambo le sponde dell’Atlantico.
Philip K. Dick: il sogno del simulacro
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