– Tuo padre?
– Ha detto che doveva scavare trincee… ieri lo ha fatto per tutto il giorno.
Gli occhi di sua madre luccicarono. – Bene. Ci servono altre trincee. Fortificheremo tutta la città allungandole fino alle linee nemiche, trincee in cui potersi muovere senza essere visti o colpiti. Porteremo la guerra in casa di quei bastardi e fileremo via prima che si accorgano che li abbiamo uccisi. – Mata evidentemente aveva dimenticato tutta la faccenda di non parlare a Valentine come a un’adulta.
Fu allora che bussarono alla porta, Mata aprì e c’era di nuovo la donna del municipio. – La tua bambina – disse.
– No – rispose Mata. La sua voce era piatta e non ammetteva repliche. Si era fatta rispettare da nove fratelli, – gli zii di Valentine, ora sparsi ai quattro venti – poi aveva comandato una compagnia durante la rivoluzione e nessuno poteva batterla in una discussione. Per quel che ne sapeva Valentine.
– No? – disse la donna del municipio. – “No” non è un’opzione, compagna.
Mata raddrizzò le spalle. – Mio marito scava. Io combatto. Mia figlia si prende cura di nostro figlio. È abbastanza per questa famiglia.
– Ci sono anziani in questo palazzo a cui bisogna portare l’acqua. Per il ragazzo c’è un asilo nido nel sotterraneo, lì starà bene. La tua bambina è forte, gli anziani sono deboli.
– No – disse sua madre. – Mi spiace molto, ma no. – Non sembrava dispiaciuta nemmeno un po’.
La donna del municipio se ne andò. Mata sedette e tornò a mangiare i suoi cereali con acqua senza dire una parola ma, quindici minuti dopo, bussarono di nuovo. La donna del municipio si era portata dietro un vecchio eroe privo di un braccio e di un occhio. Salutò Mata per nome e Mata gli fece il saluto militare. Lui le parlò sottovoce all’orecchio per qualche istante. Lei lo salutò di nuovo e lui se ne andò.
– Porterai l’acqua – disse Mata.
A Valentine non importava, era un’occasione per uscire dall’appartamento. Un giorno a fare da babysitter al capriccio umano l’aveva convinta che qualsiasi incombenza era preferibile al restare rinchiusa con lui.
Quel giorno portò l’acqua. Si era aspettata di dover tenere secchi in equilibrio sulle spalle, come nei libri di scuola, ma la sistemarono in una tuta a bolle che distribuiva il peso su tutto il corpo e che poi riempirono con una manichetta finché non pesò quasi il doppio del normale. Nella tromba delle scale c’erano altri ragazzi con tute identiche tute, che sciabordavano sui gradini verso appartamenti dallo strano odore, occupati da anziani. Le vecchie e i vecchi che Valentine vide quel giorno le diedero buffetti sulle guance e poi svuotarono la tuta a bolle nelle cisterne.
Era un lavoro logorante e, alla fine, aveva smesso di fare conversazioni anche superficiali con gli altri portatori d’acqua. Gli anziani che incontrò a fine giornata erano amareggiati per essere stati lasciati soli e assetati tutto il giorno, la trattarono male e non la ringraziarono nemmeno.
Andò a prendere Trover al nido, lui pretese di essere portato in braccio e lei ebbe una mezza idea di buttarlo giù dalle scale. Ma si accorse che aveva un livido sopra l’occhio e le mani e la faccia appiccicose e sporche, così decise che anche lui doveva aver avuto una giornata difficile. Quando rientrarono, Mata e Popa non erano in casa, così Valentine preparò la cena – ancora cereali freddi e un po’ di cavolo con dei ravioli avanzati e tenuti al fresco in un sacchetto fuori dalla finestra; – poi quando, all’ora di andare a letto, non erano ancora tornati, Valentine infilò Trover sotto le coperte e cadde addormentata anche lei.
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