POTERE
Nell’universo di Dune, il potere assume diverse facce. Generalmente, la riflessione di Herbert sul potere è pessimistica: ha sempre sembianze autoritarie, talvolta violente, spesso teocratiche. Manca qualsiasi riferimento a una soluzione democratica di esercizio del potere. L’Impero galattico del primo Dune è monocratico di nome ma non di fatto: il sovrano, l’Imperatore-padiscià, non possiede in realtà che un potere teorico la cui unica forza si fonda sul comando dell’esercito dei Sardaukar, la più feroce potenza militare dell’Impero. E benché il potere imperiale venga tramandato ereditariamente, esso dipende comunque dalla buona volontà delle Grandi Case, un complesso di famiglie nobili alle quali è delegato il comando assoluto su determinati mondi e sistemi stellari. Perciò l’Imperatore comanda solo attraverso le Grandi Case; il suo potere è inoltre limitato da una forza mistico-religiosa profondamente addentra ai processi decisionali, quella del Bene Gesserit; e dalla potenza economica della Gilda spaziale e della CHOAM. Un sistema di potere, questo, che ricorda il Sacro Romano Impero germanico o l’Impero Asburgico: istituzioni imperiali svuotate di qualsiasi potere se non nelle forme più esteriori.
Questa struttura viene distrutta dall’azione personale di Paul Muad’dib, il “Mahdi”, che sostituisce alla legittimità tradizionale una legittimità di tipo carismatico. Muad’dib accentra in sé tutti i poteri: come capo del più forte esercito della galassia, quello dei Fremen, egli distrugge il potere politico dell’Imperatore-padiscià e dei suoi Sardaukar; come leader religioso egli si pone al di sopra dell’ordine del Bene Gesserit, di cui è il frutto superiore; come capo del pianta Arrakis egli controlla l’estrazione della spezia e dunque la base dell’economia galattica («Il mio governo è l’economia», sostiene in un passo di Messia di Dune con profondo realismo). Storicamente, Frank Herbert compie una scelta coerente con l’impostazione che egli conferisce al suo romanzo: al modello decadente di “impero cristiano” frammentato e corrotto sostituisce la forma monocentrica più tipicamente islamica dove il leader politico è anche capo spirituale – il mahdi, l’ayatollah – e dove la differenza tra Stato e religione. Ma l’impero di Muad’dib alla lunga va incontro a quella “regola ferra” del potere che viene esplicitata da Herbert in un passo della saga: «Non è certo al momento della loro creazione che gli Imperi mancano di uno scopo. Quando, invece, si sono fermamente consolidati, gli scopi si smarriscono e vengono sostituiti da vaghi rituali». Così era per il Trono del Leone Dorato, ossia l’impero del suo predecessore, feudale e tradizionalista, così diventa dopo soli pochi anni per l’impero religioso di Muad’dib la cui spinta rivoluzionaria, una volta esauritasi, cede il passo al ritorno dei rituali del potere che corrispondono alla legittimità tradizionale.
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