ECOLOGIA

 Il primo Dune è fondamentalmente un romanzo sull’ecologia. Nato dagli studi di Frank Herbert sul fenomeno della desertificazione e sugli ecosistemi delle zone aride della Terra (lo scrittore rivela di aver letto «più di 200 libri, articoli, rapporti e saggi scientifici sull’ecosistema delle regioni desertiche, sulle comunità che le abitano, sugli adattamenti degli animali e degli uomini a deserti di ogni tipo»), il pianeta Dune è un ammonimento al disinibito uso della risorse da parte dell’umanità. Arrakis – come è anche noto Dune – era nell’antichità un pianeta florido e salubre; la sua dilagante desertificazione non ha tuttavia impedito agli indigeni Fremen di adattarsi al nuovo ambiente. Diverse specie animali e vegetali autoctone, si scopre nel romanzo, hanno adottato soluzioni evolutive che ne permettono la sopravvivenza negli ambienti aridi. Ad esempio, Lady Jessica nota come una ferita sulla pelle della sua serva Mapes riesce a rimarginarsi in brevissimo tempo, probabilmente come meccanismo di preservazione dell’umidità corporea che altrimenti verrebbe dispersa. Nell’opera si parla anche di «“ladri d’acqua”… piante che si depredano a vicenda dell’umidità, inghiottendo fin la più piccola traccia di rugiada». Nei suoi studi sull’ecologia del pianeta, Pardot Kynes scopre con suo stupore un tubero lungo circa due metri che cresce nell’emisfero nord del pianeta sopra i 2500 metri di altitudine: questo tipo di pianta è capace di immagazzinare fino a mezzo litro d’acqua. Poiché su Arrakis le piogge non sono rare, ma del tutto assenti, Kynes evince dallo studio di questa pianta il fatto che l’acqua sia presente in grandi quantità sotto la superficie del pianeta.Il figlio di Pardot Kynes, il planetologo imperiale Liet Kynes, sostenitore della causa dei Fremen, rivela nel corso della storia un ambizioso programma di terraformazione per far ritirare i deserti e ripristinare un ciclo ecologico salutare su Arrakis. Ma questo processo si scontra con le esigenze economiche dell’Impero. Causa della desertificazione del pianeta sono i vermi giganti, che producono il melange e, come prodotto di scarto, la sabbia del deserto. Cambiare l’ecosistema di Dune vuol dire uccidere i vermi e dire addio al melange. Il drammatico problema non impedirà a Leto II di portare a termine il progetto, iniziato dal padre Paul, trasformando Arrakis in un pianeta verdeggiante. Una breve parentesi, tuttavia: con l’andare dei secoli, seguendo la volontà dell’Imperatore-Dio, il pianeta ritorna al suo precedente ecosistema, coperto di nuovo dalla sabbia e solcato dai vermi produttori del melange. Il messaggio ecologista di Herbert è chiaro, ed egli stesso lo ha reso esplicito in una sua celebre dichiarazione: «Fate uno sforzo d’immaginazione, fino a considerare la Terra come una creatura vivente: non vi occorrerà molto per pensare all’umanità come a una malattia del nostro pianeta. Su una buona parte della Terra, la presenza dell’uomo contrasta con quella di un sano ecosistema, capace di mantenersi indefinitamente».

 

ACQUA

 «Un pianeta che soffre per la mancanza d’acqua. Un popolo spinto alla violenza da questo bisogno. Una cultura, una civiltà che cerca di superare una simile avversità»; così lo stesso Herbert sintetizza il plot che lo ha portato alla stesura dell’opera. Il popolo dei Fremen utilizza apposite tute distillanti per ridurre al minimo il consumo d’acqua da parte del corpo e riciclare le urine. Inoltre, costruisce intorno al bisogno d’acqua un intero corpus di usi e costumi particolari. Uno dei principali riti Fremen è quello di prelevare da un uomo morto la sua acqua, né più né meno di ciò che fanno gli uccelli mangiatori di carogne di cui parla il banchiere della Gilda, soprannominato Soo-Soo, durante la cena nel palazzo degli Atreides: essi sopravvivono estraendo l’umidità dal corpo delle loro vittime. Questo rapporto acqua-sangue è sancito da uno dei proverbi che cita Paul: « E l’acqua che hai bevuto dal fiume si cambierà in sangue sul terreno asciutto». Un riferimento evidente al mito di Mosè che trasforma in sangue le acque del Nilo, ma la simbologia domina anche le raffigurazioni rupestri australiane dei Wondjina, spiriti ancestrali portatori della pioggia: queste creature mitologiche sono raffigurate in bianco e circondate un contorno rosso, dunque con i colori simboli dei due elementi vitali, il sangue e l’acqua.