Biografia in barattolo

Nel 1972, a diciassette anni, mi ero appena diplomato al liceo dove avevo scoperto di avere un certo talento nello scrivere pezzi umoristici. Scrivevo per il giornalino della scuola, pezzi di stile Yippie, cosa che quasi mi fece espellere, quando il preside mi accusò del "crimine" di aver aiutato a distribuire una rivista underground prodotta con un ciclostile rubato da una scuola elementare (cosa di cui io non ero al corrente). Fu allora che decisi di diventare scrittore. Questi fatti accadevano a Lincoln, Rhode Island, un paese semi rurale dove ho vissuto per trent'anni. Rhode Island è lo stato dove sono nato.

Ho letto fantascienza sin dal 1965, e tutti i generi di libri per ragazzi assimilabili (come Tom Swift e compagnia). In qualche modo avevo capito che la fantascienza era ciò che volevo scrivere. All'epoca avevo un forte rifiuto e disprezzo per la narrativa mimetica, alla quale pensavo immaginandola come se fosse tutta qualcosa di vagamente autobiografico e quindi povero di immaginazione. Ora mi rendo conto che quella reazione era soprattutto paura di confrontarsi con molti elementi della vita quotidiana, la normale nevrosi da adolescente che alimenta gran parte del fandom. Posso in qualche modo redimermi dicendo che ora fra i miei autori preferiti ci sono maestri del genere "autobiografico" come Thomas Wolfe, Henry Miller, Robert Crumb, Harvey Pekar, Charles Bukowski e Jack Kerouac?

Cercando un posto romantico nel quale comporre il mio primo magnum opus, scelsi le hawaii: erano lontane da tutto e tropicali, e non avevi bisogno di un passaporto per andarci, e per di più la gente parlava inglese. (Avevo solo diciassette anni dopotutto, santoddio!)

Preparai la valigia: tre quarti erano libri, e un quarto vestiti. Il bagaglio a mano era una macchina per scrivere Sears -- verde, degli anni Sessanta: ce l'ho ancora -- che mi avevanoi regalato i miei indulgenti genitori.

Così partii, con i soldi che avevo guadagnato lavorando durante l'estate, sperando che bastassero fino a quando avessi trovato lavoro o fatto fortuna.

Rimasi a Honolulu per un paio di mesi.

Naturalmente non scrissi una parola, se non lettere a casa.

Mi sdraiavo sulla spiaggia, giravo in bici per l'isola, mi arrampicavo sulla Cima di diamante, e fissavo la mia macchina per scrivere, che se ne stava sul tavolo nel mio monolocale. Scoprii di non avere nulla da dire.

Be', pazienza. Era andata così. Non potevo esserne molto entusiasta, del resto con il pigro sole che filtrava attraverso le fronde delle palme, be'... ma qualcosa ancora mi diceva che un giorno sarei diventato uno scrittore.

Quando i miei risparmi finirono, usai il mio biglietto di ritorno e tornai a casa, e mi iscrissi a un college statale, nell'autunno del 1973, corso di laurea in Inglese. Cominciai a scoprire i piaceri di tutti i tipi di narrativa che avevo abiurato. Scrissi per il giornale universitario. Incontrai la donna della mia vita, Deborah Newton (nel 1976), passai al part time per prolungare la mia permanenza, e andai a vivere da solo. Poi, nel 1979, ancora senza laurea, rinunciai a tutto e con Deb me ne andai in Europa.

A quanto pare, ogni volta che cercavo di metter via denaro riuscivo a pagarmi solo un paio di mesi di vagabondaggio. Anche in Europa fu quella la durata dei nostri giri. Quando tornai, nell'autunno del 1979, mi capitò un corso federale di programmazione di computer. In un paio di mesi mi trovai bloccato nel mio primo "vero lavoro": programmatore Cobol alla RI Blue Cross, la più micidiale e tenace delle burocrazie.

Ah, già: da qualche parte lungo la strada avevo venduto una commedia "op-ed" al New York Times e una parodia alla rivista UnEarth. Ma ancora non mi consideravo uno scrittore.

Nel luglio del 1982 ero totalmente disgustato del mio lavoro e di me stesso. Due anni e mezzo di frittelle e di elaborazione di ordini mi aveva lasciato grasso e col cervello flaccido. Capii che dovevo fare un drastico cambiamento, e lasciai la RIBC. Deb si unì a me nella zona di fuoco del lavoro freelance, lasciando il suo lavoro come sarta di costumi per teatro per diventare una stilista di lavori a maglia (una carriera di successo alla quale lavora ancora).

Nei tre anni successivi -- prima a tempo pieno, poi, dopo che finirono i risparmi un'altra volta e dovetti adattarmi a una varietà di diversi impieghi, solo part-time -- produssi approssimativamente un migliaio di cartelle di narrativa, nessuna delle quali fu venduta. (Grazie a dio! Sono tutte lì a sbriciolarsi abbandonate in alcune scatole nella mia cantina. Discepoli, telefonate subito per fissare un appuntamento se vi interessano! Sono sempre sul punto di buttare via tutto).

Non idea del motivo che mi spinse a perseverare. Forse una vaga intuizione che stavo migliorando, che stavo bruciando le scorie della mia scrittura. E scommetto che era vero.

Nel 1985 vendetti, per la prima volta, Rescuing Andy a Ted Klein per la rivista Twilight Zone e, subito dopo, Stone lives a Ed Ferman per Fantasy & Science Fiction. Questi due editor si spartiscono tutta la responsabilità per avermi fatto entrare sulla scena. Nei sei anni precedenti qualche vendita sporadica di racconti -- ora sono più di quaranta -- mi hanno incoraggiato nei miei tentativi per insegnare a me stesso come si scrive veramente.

Nel 1995 sono diventato l'ultimo dei cyberpunk consacrati da Mirrorshades a raggiungere il traguardo della pubblicazione di un libro con la trilogia Steampunk.

Credo che sia stato Hokusai, nel libro The Old Man Gone Mad With Painting, che disse, all'età di novantanni o giù di lì, "Ho dipinto per sessant'anni, e se avessi avuto altri trent'anni, avrei continuato!"

E' proprio come mi sento io.

Ah, già: sono alto un metro e ottanta, scorpione, amo le passeggiate in campagnia, il surf e nuotare, e la pasta alla carbonara. La mia auto è una Cressida dell'82 chiamata Cressie. Il mio gruppo musicale defunto preferito sono gli Steely Dan. In un'altra vita, mi piacerebbe essere Hank Thoreau.