Dario Tonani ritorna nell'universo di Infect@ con un nuovo avvincente romanzo dal titolo Toxic@, pubblicato questo mese da Urania, la collana fantascientifica della Mondadori da edicola.
Sono passati sette anni dagli avvenimenti di Infect@ e i due protagonisti - l'ispettore Lapo Montorsi e il suo vice Khaled Mushmar - sono cambiati: il primo sta per andare in pensione, mentre il secondo scalpita per fare carriera.
Lo scenario è ancora più degradato: Milano è come sempre imbrattata di cartoon, ma è anche una città al collasso nell'Anno di Grazia 2032. A sette anni dal primo affacciarsi sul mercato dei +toon — la nuova devastante droga da assumersi per via retinica — nelle sue strade i milanesi crepano come mosche, vittime di un Morbo di cui sono portatori proprio i cartoon.
Una premessa interessante per una vicenda molto più intrigante ed emoziante, come sempre ai limiti tra il noir e la science fiction. Non potevamo non chiedere ulteriori lumi allo scrittore milanese...
Toxic@, come Infect@, poggia su un solido pilastro dell’immaginario collettivo: i cartoni animati. Quanto ti sei documentato per scrivere un romanzo in cui i cartoon sono dei co-protagonisti, più che un elemento dello scenario? Per usare una metafora calcistica sembrerebbero il dodicesimo uomo in campo…
Per certi versi lo sono: il dodicesimo, il tredicesimo, il quattordicesimo... Anche se la loro presenza in entrambe le storie è senza regole, in realtà per Infect@ ho trovato loro un piccolo spazio ordinato in cui parlare seriamente di come funzionava l’industria (ma sarebbe meglio dire, l’artigianato) del cinema d’animazione dell’epoca d’oro (dagli anni Quaranta ai Sessanta). E naturalmente, per farlo, ho dovuto documentarmi parecchio. Volevo comprenderne la genesi, capire da quale tipo di cucina potessero venir fuori quegli impasti di magia e colore che fanno sognare generazioni di bambini (e non solo). E ho scoperto che alla base di tutto c’era un mix esplosivo di serietà e professionalità, ma anche di goliardia e di spirito burlone; che i cartoon avevano spesso i tic e le voci dei vari boss della Disney e della Warner Bross e che la tentazione di prendersi gioco dei personaggi veri era sempre all’ordine del giorno. Come è giusto che sia quando si manipola materiale altamente creativo.
Milano è ancora una volta lo senario di fondo della storia. Oggi si fa un gran parlare della città grazie all’evento dell’Expo del 2015, ma in Toxic@, rispetto a Infect@, tu sembri descriverla come una città molto più malsana, degradata e violenta. È così? E se sì, come mai questa scelta? Non c’è, nel tuo immaginarla nel futuro, una possibilità di recupero, di “redenzione” sia dal punto di vista urbano che civile?
Cito da pagina 59 del romanzo, giusto per farsi un’idea: Milano, negli ultimi tempi, era diventata un campo di fuoco senza regole, non c’era quartiere in cui le armi non facessero sentire la propria voce tartagliando a qualsiasi ora del giorno e della notte, 24 ore su 24. La “redenzione” non m’intriga più di tanto. O meglio, m’interessa quello che ci sta prima: vizi e peccati. Una città come Milano ne è piena zeppa, e spesso non occorre neppure saper dove guardare, te li scodella davanti ai piedi mentre cammini. Non a caso Milano è stata presa a prestito da schiere di giallisti e scrittori di noir come location ideale per ambientare incubi; si è guadagnata sul campo le mostrine di città “nera & maledetta”... Sarà per la sua grandeur di capitale economica, di città europea, sarà per le contraddizioni che nascono proprio da questa sua “spocchia” metropolitana o dall’essere un crocevia di culture, di traffici, di genti. Se guardo al presente faccio uno sforzo enorme a immaginare una “redenzione”...
Addentriamoci nella trama del romanzo. Sono passati sette anni dagli avvenimenti di Infect@ e il primo elemento che salta immediatamente agli occhi del lettore è la comparsa di un morbo che letteralmente uccide i milanesi, di cui sono portatori proprio i cartoon. Di fatto hai ribaltato l’immagine classica che tutti noi abbiamo dei cartoni animati: non sono più una forma di divertimento, ma una vera e propria “arma letale” per l’uomo….
Il contrasto stridente tra ingenuità dei cartoon e mondo della tossicodipendenza, tra veicolo di sballo e scorciatoia per l’inferno era già alla base di Infect@. Con Toxic@ non ho fatto altro che portare questa contraddizione in termini alle sue estreme conseguenze. I cartoni non sono più soltanto vettori d’infezione per le sinapsi del cervello e per le coscienze, sono essi stessi tossine. E’ lo sballo che chiede pegno. Ma lo fa alla maniera sua, con quel macabro senso dell’ironia che è caratteristica fondante di molti, quasi tutti, i personaggi del cinema di animazione: per cui nel romanzo si suppone che un cartoon sia infetto soltanto per una “lurida mezz’ora” della sua vita, da qui il nome di Morbo dei 30 Minuti, che mette sotto scacco la città. Ora mi dite come diavolo si può gestire una situazione in cui l’epidemia non ha un vero e proprio picco, ma si accende a macchia di leopardo semplicemente quando un cartone “decide” di essere tossico?
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