L’eterno fascino degli alieni, ma – soprattutto – la possibilità di descrivere e raccontare le reazioni coraggiose di un gruppo di giovani amici dinanzi ad un incontro peraltro cruento e molto ravvicinato del Terzo Tipo sono al cuore di Super 8 che si può considerare come un “E.T. ;del Ventunesimo Secolo” in grado di segnare significativamente la fortunata collaborazione tra il regista e sceneggiatore J.J.Abrams con la ‘leggenda’ Steven Spielberg in qualità di produttore.
Super 8 è, per molti versi, un film fortemente spielberghiano: anche se la sceneggiatura è di Abrams, non vi è dubbio che il creatore di Alias abbia risentito fortemente del lavoro del grande Steven di cui, da alcuni, viene considerato, in un certo senso, “l’erede”.
L’influenza più o meno diretta di Spielberg o, quantomeno, del suo immaginario si avverte più forte in diversi momenti del film e attraversa, sottotraccia, l’intera pellicola sul piano sia della trama stessa, che di alcune suggestioni ad essa legate.
Innanzitutto il protagonista principale è un ragazzino che deve fronteggiare la morte della madre per un incidente sul lavoro: il legame tra l’adolescente e la donna viene sublimato in una delle sequenze più importanti dell’intera pellicola e l’assenza della figura materna lo obbliga a confrontarsi, come spesso capita nel cinema di Spielberg, con un padre piuttosto con cui, fino a quel momento, non ha mai avuto bisogno di sviluppare un vero dialogo. Padre e figlio, quindi, sono al centro del film con la loro difficoltà di relazione che vuole simboleggiare l’inevitabile frattura tra generazioni diverse.
La soluzione dei mali del ragazzo e, comunque, anche l’interessa principale dei suoi amici è il cinema e non solo come spettatore, ma come piccolo genio del trucco e degli effetti speciali che nella provincia americana degli anni Settanta lo rendono molto richiesto dai compagni di scuola desiderosi di realizzare un piccolo cortometraggio horror con cui partecipare ad un Festival.
La piccola troupe, il regista e gli attori partono, quindi, alla volta di una stazioncina di passaggio dove girare una delle scene più importanti del cortometraggio dando valore alle immagini, sfruttando il casuale arrivo di un treno.
Le cose, però, prendono una piega del tutto diversa dal previsto quando uno spaventoso incidente ferroviario sconvolge “il piano di produzione” costringendo i ragazzi ad abbandonare in fretta e furia materiali e cinepresa per mettersi in salvo.
Se loro hanno lasciato fortunosamente il set improvvisato e si sono messi in salvo, la macchina da presa Super 8 ha continuato a filmare e quanto è impresso sulla pellicola rappresenta una verità decisamente scomoda e dura da mandare giù.
Ed è questo il tema più spielberghiano di tutti, oltre ovviamente, quello ‘salvifico’ del cinema stesso che non viene mai esplicitato, ma che è alla base stessa del senso ultimo della pellicola: un gruppo di ragazzi viene in contatto con una verità che gli adulti non riescono ad accettare. Se non alla fine del film quando la giustezza delle scelte dei più giovani sarà diventata chiara a tutti. L’eterno confronto tra generazioni, la possibilità che hanno i teenagers di comprendere quanto accade meglio dei loro genitori, è la chiave di volta dell’intero film nonché il tratto comune che avvicina Super 8 a E.T., ma anche ad altri titoli diretti e prodotti da Spielberg stesso.
Il legame con il passato, con la preadolescenza di Abrams stesso e con un mondo certamente meno tecnologico donano a Super 8 un afflato particolarmente interessante in cui quella che potrebbe essere una storia sostanzialmente da B Movie assurge a vette più alte, facendo di questo film il racconto di un’estate unica ed indimenticabile in cui sebbene non vi sia stata una perdita di innocenza, c’è senza dubbio la presa d’atto di una nuova consapevolezza di sé.
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