Se i supereroi hanno tanto successo al cinema, perché non dovrebbero averlo anche in televisione? Questa sembra essere la domanda che si pongono i produttori negli ultimi anni, e i rovinosi fallimenti dei tentativi precedenti non sembrano essere risposte soddisfacenti.
Certo il fatto che i supereroi in questione si chiamino Hiro Nakamura o Jim Powell e non Peter Parker o Clark Kent può avere la sua importanza, e forse non è un caso che l’unica serie di supereroi che ha funzionato in questi anni sia stata proprio Smallville. Senza contare Misfits, ovviamente, ma sarebbe ingenuo aspettarsi la creatività britannica da una serie americana.
Comunque sia, eccoci con Alphas, nuova serie prodotta dal canale SyFy, creata da Zak Penn, accreditato sceneggiatore di svariati film Marvel (L’incredibile Hulk, X-Men 2 e 3, I fantastici quattro, Elektra) e Michael Karnow, qualche esperienza televisiva ma poco rilevante.
L’idea è molto “marveliana”. Siamo in un istituto che ricorda molto la Xavier School for Gifted Youngsters; qui lavora il dottor Lee Rosen (David Strathairn), una sorta di “guru”-psicologo che ha costruito la squadra degli Alpha, individui dotati di particolari poteri ma anche afflitti da non indifferenti problemi psicologici.
Le “abilities” dei mutanti di Rosen sono abbastanza standard. Capacità di forzare la volontà altrui con la voce, superforza, sensi iperacuti; Gary, il ragazzo autistico, ha il potere di “vedere” le onde elettromagnetiche, mentre Cameron ha una sorta di mira ultraprecisa. Nel cast c’è anche Callum Keith Rennie, il cylon “Leoben” per chi seguiva Galactica.
Naturalmente, c’è un’organizzazione malvagia contraria, chiamata “Red Flag”, che in qualche modo minaccia o vuole portare gli Alphas dalla loro parte. Se gli indizi che abbiamo notato non ci ingannano, l’impressione è che possa trattarsi di un’organizzazione che rivendica in qualche modo la superiorità/indipendenza dei “superdotati”, ovvero il Magneto della situazione. Lo scopriremo probabilmente pochissimo per volta nei prossimi episodi.
Non c’è molto altro da dire. I personaggi sono ancora un po’ schematici ma sono ben disegnati, quello che manca anche stavolta è l’idea originale, o quantomeno quel qualcosa in più che stimoli lo spettatore a sedersi davanti alla tv in attesa del prossimo episodio. L’idea che ci siamo fatti è che la serie andrà avanti proponendo per ogni episodio un caso da risolvere, una sorta di CSI con steroidi, di cui davvero non sentivamo l’urgenza. Difficile, da quanto visto nella prima puntata, che la serie possa arrivare a una seconda stagione. Ma naturalmente nulla impedisce cambiamenti di rotta o svolte interessanti: non sarebbe la prima volta. Speriamo solo che se devono arrivare arrivino prima che qualcuno stacchi il filo.
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