Preceduto dagli squilli di fanfare che annunciano ogni nuova produzione di sua maestà Steven Spielberg, Falling Skies è arrivato sugli schermi alcune settimane fa, raccogliendo davanti alla televisione durante il doppio episodio pilota ben sei milioni di spettatori, che scendevano a quattro già dal terzo episodio, per poi calare leggermente a ogni puntata.
Non che siano numeri deludenti, anzi: per una tv via cavo come TNT sono ascolti eccellenti, tant’è vero che la serie è stata già rinnovata per la seconda stagione.
Eppure, il gradimento degli spettatori è piuttosto basso, e viene da pensare che se la programmazione fosse stata in un altro periodo, con una seria competizione, forse le cose non sarebbero andate così lisce.
Di cosa si parla. Dopo Skyline e Battle: LA siamo di nuovo alle prese con un’invasione aliena, di quelle cattive. Gli alieni sono feroci, spietati, non sono umanoidi e non dialogano con i terrestri.
Tuttavia, Robert Rodat, il creatore della serie, ci nega il divertimento fracassone dell’invasione, raccontandocela all’inizio del primo episodio tramite i disegni di un bambino. Siamo quindi già nel dopo: la resistenza si sta organizzando, gruppi di civili e militari che si spostano in continuazione per sfuggire agli alieni. Dando un’occhiata ai precedenti di Rodat possiamo farci un’idea di dove si vuole andare a parare: Il patriota, Salvate il soldato Ryan: siamo in piena epica dell'eroe americano che si oppone al nemico della patria.
Al patriottismo di Rodat però si aggiungono i temi “familiari” di Spielberg: il protagonista - interpretato dal “dottor Carter” Noah Wyle - ha tre figli, uno dei quali rapito dagli alieni, e gran parte della storia ruoterà su questo rapporto, con in più la variabile rappresentata da Moon Bloodgood (già vista in Terminator Salvation) che rappresenta la giovane dottoressa innamorata segretamente di Wyle.
Le vicende sono piuttosto piatte e banali.
I nostri operano incursioni, per procurarsi cibo, armi, o per liberare i ragazzi resi schiavi degli alieni da una sorta di dispositivo/parassita che si penetra nella spina dorsale della vittima e ne controlla il sistema nervoso. La rimozione del dispositivo porta alla morte dell’umano controllato, ma ben presto questa regola viene invalidata da un brillante dottore che scopre che è possibile rimuovere il parassita usando la fiamma ossidrica per tagliare le connessioni (come questo non risulti nella “frittura” del midollo spinale dell’umano non è spiegato).
Mason, il personaggio di Wyle, è un professore di storia, che ogni tanto dispensa qualche "pillola" della sua sapienza a livelli imbarazzanti anche per un maestro delle elementari.
Gli alieni fanno ben poco per stanare i gruppi della resistenza - che fanno davvero poco per nascondersi, mettendo in piedi accampamenti con centinaia di persone, luce elettrica e ogni comodità - e anzi risultano gabbabili piuttosto facilmente, tanto che ben presto gli spettatori si sono trovati costretti a ipotizzare l’esistenza di altri alieni più intelligenti di quelli visti finora.
Le lacune, logiche, tecniche, mediche, strutturali sono più di quante si abbia la voglia di contare. Ma ci si potrebbe anche passare sopra se ci fossero idee originali o almeno un ritmo sostenuto.
Sfortunatamente questo non avviene: le idee sono del tutto assenti, rendendo la serie forse passabile per un pubblico non di genere per il quale anche la semplice idea di invasione aliena risulti una novità, ma perdendo ogni interesse per l’appassionato di fantascienza. Il ritmo è quasi del tutto assente; gli episodi tipicamente mostrano qualche minuto d’azione verso metà episodio, per poi risolversi solitamente col successo dei “buoni” e appiattirsi in una ventina di minuti finali impregnati di buoni sentimenti, di preghiere tutti insieme prima di cenare, di momenti di solidarietà familiare, tirate in lungo fino a livelli glicemici fuori scala.
La prima stagione si compone di dieci episodi: c’è ancora la speranza di veder saltar fuori qualche idea, sempre che si riesca a resistere fino ad allora.
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