— Secondo gli studiosi del neolitico padano, soprattutto secondo i più grandi esperti della cultura terramaricola, le rondelle venivano conservate per uso apotropaico, cioè servivano a tenere lontano il malocchio e gli spiriti malvagi. Io personalmente, fino a non molto tempo fa, consideravo le rondelle ossee come derivate dalla trapanazione del cranio per curare l’epilessia, o per riti di magia o stregoneria.— Oggi ha cambiato idea?— Totalmente. Ma spero proprio di sbagliare. Le terramare nascondono un grande segreto. Il mistero uguaglia quello dell’origine degli Etruschi, quello dell’isola di Pasqua, quello della fine di Atlantide. Le terramare sono sparite all’improvviso in epoca protostorica e nessuno sa spiegarsi come e perché.
— E c’entrano le rondelle?
— Forse.
— Usciamo di qui, per favore. Mi sento soffocare...
Continua a cadere quella fine pioggerellina che si confonde con la nebbia. La pioggia scende, la nebbia sale: stanno per incontrarsi all’altezza della montagnola, come una morsa che chiuderà dentro Giannina, Borsari e le paure di lui che stanno trasmettendosi anche alla ragazza. Facile spaventare, in questo panorama fatto di niente, con discorsi di morti e di civiltà scomparse non si sa come.
— Preferisce fare due passi?
Giannina accetta.
— Andiamo sull’argine del Panaro.
Così potrà rendersi conto del livello dell’acqua e preparare stasera l’articolo per il giornale. Dalle chiacchiere di Borsari presume che uscirà ben poco di interessante per i lettori.
— Conosco la scorciatoia. Se non ha paura di infangarsi.
— Ormai...
Camminare sul sentiero in cima all’argine è come costeggiare il confine tra due mondi; uno d’acqua e uno di terra; uno minaccioso nel suo ribollire di gorghi fangosi, l’altro soffocato dalla nebbia intenzionata a nascondere ogni storia di uomini. L’argine potrebbe saltare e i due mondi fonderebbero.
— Questa regione, che gli antichi chiamarono Padusia, è sempre stata incerta tra l’essere mare o essere terra. Il Po, il Panaro, il Reno e gli altri fiumi hanno nascosto o trascinato in mare le tracce di antiche città, hanno modificato innumerevoli volte l’aspetto fisico della regione. Basti dire che gli studiosi hanno scoperto ben sei diversi letti del Po, molto lontani l’uno dall’altro. L’attuale letto del Reno, ad esempio, è un vecchio letto del Po. Di città come Spina, Saga o Gavello è rimasto ben poco.
— Incredibile — esclama Giannina.
— Ma tutto questo fa parte della storia ufficiale. Incredibile invece è ciò che sto per confidarle.
Si guarda intorno, abbassa la voce come se fossero tra una folla di spie.
— Uno dei tanti metodi di lavoro per lo studio delle civiltà che non hanno lasciato niente di scritto, perché non possedevano la scrittura o perché la loro scrittura non è stata ancora decifrata, consiste nella comparazione. Comparando una armilla terramaricola con manufatti simili provenienti da altre civiltà, possiamo ricavare notizie sulla cultura del popolo che ci interessa, i contatti commerciali, artistici e bellici con le altre popolazioni. Ho studiato l’impianto urbano delle terramare confrontandolo con quelli di civiltà neolitiche e protostoriche di ogni parte del mondo.
— E cosa ha scoperto?
— Ben presto mi accorsi che nelle terramare c’era qualcosa che non funzionava, qualcosa di diverso dagli altri villaggi fortificati per essere difesi da nemici esterni. E poi, quali nemici avevano i terramaricoli, se abitavano essi soli la grande pianura? Animali davvero feroci non ne esistevano: a parte dei lupi che però trovavano selvaggina a volontà. Inoltre i terramaricoli non erano bellicosi. Agricoltori, cacciatori, artigiani, e di indole sedentaria.
— Non capisco dove vuole arrivare — interviene Giannina, anche per impedire a Borsari di divagare. Sembra che giri intorno al bersaglio per paura di centrarlo.
— Un perfetto esempio di villaggio fortificato che ricorda una terramara, l’ho trovato nella comparazione con Auschwitz.
Giannina guarda in faccia Borsari. — Il campo di concentramento?
— Naturalmente sostituendo primitive palizzate al filo spinato. Il resto corrisponde, come stile architettonico e come concezione di luogo da dove non si deve uscire: terrapieni, torrette, casematte, capanne, strade interne e perfino, ma questo è soltanto un particolare, il forno crematorio.
— Mi sta dicendo che le terramare erano dei campi di concentramento?
— Ritengo che fossero luoghi fortificati perché i terramaricoli non fuggissero. Se uscivano, uscivano scortati, come pecore al pascolo, o come forzati per il lavoro coatto.
— Ma gli altri, i “cattivi”, chiamiamoli così… chi erano?
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