— Allora sarà stato un ladro — decide Giannina.L’espressione dell’archeologo la diverte: dev’essere un fifone nato.— Se facciamo presto lo acciuffiamo — continua la ragazza. — Guardi là in fondo, sulla destra della cascina: è lui.

Incredibilmente, Borsari suda. Le grosse gocce sulla fronte evaporano a contatto con la pioggia fredda.

— Lasciamo perdere. Sarà stato un curioso, o un vagabondo.

— Come vuole. Io mi chiamo Giannina Gnoli e scrivo sul “Resto del Carlino”.

— La ringrazio di essere venuta. Ma io avevo chiesto il redattore della cronaca sull’incidente della via Emilia.

— Sono io... O preferiva un giornalista maschio?

— Avrei preferito un... una persona più anziana. Senza offesa. Ciò che sto per confidare deve essere filtrato con molta prudenza. Lei, per quanto brava e intelligente, non può avere la malizia e l’esperienza di un anziano giornalista.

— Decida lei.

Borsari guarda la pianura, nella direzione in cui è sparito lo sconosciuto vagabondo.

— Forse ha già deciso il tempo. E hanno già deciso loro.

Mi sa tanto che è un pochino matto, pensa Giannina.

L’archeologo ha ritrovato il sorriso. — Venga, le mostrerò gli scavi.

— Ho già dato un’occhiata prima. Non c’è molto da vedere.

— L’archeologia preistorica non è spettacolare. Non si scoprono tombe monumentali, statue di veneri o apolli, torri merlate. Soltanto sassi, frammenti d’osso, vasi, utensili di bronzo smangiati dall’ossido. Il tutto dentro un polentone di fango.

— Questa collinetta cosa nasconde?

— Una terramara, cioè un villaggio preistorico dell’età del bronzo medio, lontano da noi circa tremila anni. Le terramare sono caratteristiche della pianura padana. Si rinvengono esclusivamente a ovest del Panaro.

— Significa terra amara?

— No, terra grassa. Raccoglie una manciata di fango e la strizza. — Terra grassa e nera, ricca dell’humus ottenuto da sostanze organiche, i rifiuti del villaggio preistorico.

— Ce ne sono tante?

— Molte tracce. Ma di terramare intatte o quasi ne sono state rinvenute soltanto un paio.

Si fermano davanti alla baracca. Borsari esita un attimo, poi alzando le spalle come dandosi del fifone, entra di botto. La porticina è priva di chiave o lucchetto.

L’angusto locale ospita una quantità incredibile di oggetti. Accatastati, ammucchiati, pressati. Vanghe, badili, setacci, tute, sassi, cocci di vasi, casse e cassettine. L’archeologo estrae un coccio da una delle cassette.

— E il frammento di un’olla —. Poi un minerale verde. — Questa era invece una fibula.

— Conciata maluccio.

Giannina curiosa qua e là nello stanzino. Raccoglie una perlina gialla.

— È ambra. Le donne si ornavano di collane e bracciali —. Palpa la polvere grigia, fine come cipria, contenuta in un vaso. — I terramaricoli cremavano i defunti. Le ceneri venivano raccolte in vasi come quello.

Giannina si affretta a mollare la cenere. Pulisce le mani col fazzoletto.

— Insieme al morto veniva bruciato tutto ciò che gli apparteneva. Per questo motivo rinveniamo oggetti semifusi, come quella fibula di bronzo.

— Tutto qui?

— L’intera archeologia padana è molto avara. Anche delle epoche protostoriche e storiche è rimasto ben poco. I fiumi hanno sempre avuto il vizio di spazzar via, o seppellire nel limo. Ma torniamo ai nostri amici terramaricoli. Sono loro l’argomento che mi interessa.

— Certo: sono il suo lavoro.

— Non intendevo soltanto in questo senso. Desidero parlarne con lei perché essi sono il motivo che mi ha spinto a telefonare al giornale. Tra i reperti che solitamente vengono alla luce nelle terramare, ce ne sono alcuni che hanno scatenato una ridda di ipotesi e la curiosità di studiosi e profani.

Il professor Borsari aggiusta gli occhiali sul naso, come se vedendo meglio potesse anche spiegarsi meglio: — I terramaricoli usavano conservare rondelle ossee ricavate dai crani dei defunti, prima che questi venissero cremati. Capisce ora perché ho voluto parlare proprio con lei?

— No.

— Guardi!

Fruga in una delle cassettine ed estrae un oggetto. Lo pulisce sulle braghe e lo porge a Giannina.

Il dischetto color avorio è perfettamente rotondo e lucido, come se fosse stato a lungo sfregato.

— Il frammento di osso cranico sulla via Emilia!

— Esattamente.

— Quello era insanguinato e... fresco. Non mi sarebbe mai venuto in mente di collegare i due oggetti. — Giannina fa una pausa e poi guarda meglio in faccia l’archeologo. Gli domanda: — Vorrà spiegarmi cosa c’entra la preistoria con la cronaca?

Prima di rispondere, Borsari ripone la rondella nella cassettina.