Non poté continuare. La Locusta si sollevò nell’aria sotto l’urto, ricadde sul dorso, rotolò nella sabbia e fu scaraventata da un lato all’altro del canale. La terra si mosse ondeggiando. Si aprì e si richiuse in fosse ardenti di metalli fusi. Le pareti si coprirono di fiumi incandescenti, vapori, torrenti bianchissimi, inghiottendo la macchina e respingendola alla superficie infuocata in un ultimo sussulto.
Agnes dalle mani azzurre camminava sulla sabbia del deserto che ora mischiava la sua luce a riflessi più brillanti, accecanti pozze di metalli fusi che confluivano da uno stagno all’altro, bianche e d’oro, in lucentezze quasi senza colore. Milton la precedeva, sanguinando sul volto. Bismark, alle sue spalle, la seguiva avvolto nella tunica azzurra, balzando sopra le pozze. La Locusta delle Rocce ardeva tra i fiochi gemiti nel torrente metallico che la consumava poco a poco, insieme al corpo dell’anax con gli artigli infissi nel metallo e sussultante nelle ultime contrazioni di vita. Il fuoco li divorava lastra per lastra, con cupi scricchiolii.
Ciò che era stato la sua ricchezza si dissolveva tra lamenti che la distanza faceva via via più fiochi. Là c’erano i tappeti che aveva filato con le sue mani, i camici a righe bianche e nere, uno più prezioso, rosso e damascato. I suoi monili e le collane di pietra, le forbici, gli aghi, il coltello con cui tagliare l’imbastitura.
Dopo essersi riavuto da quella scossa, Milton si era trascinato fuori dalle lastre ardenti della macchina mentre i due, già all’esterno, osservavano i suoi sforzi. Era riuscito a salvare l’acqua e la sua carabina. Agnes portava la sola cosa che aveva potuto afferrare, prima che l’incendio ardesse il cassone di traino della cabina: il suo prezioso moschetto dal calcio ricurvo intarsiato di madreperla, la canna a un solo colpo, rinforzata da fasce d’ottone, il cane a pietra focaia, la cinghia che ora pesava sulla sua spalla, mentre camminavano per raggiungere il traguardo impossibile del podere.
Il deserto si distendeva senza fine, ruscellante di cascate d’argento, dalla sommità delle pareti, dove il sole battente scioglieva ogni metallo e lo convogliava al fondo della valle in venature più rosse e calde, via via fino all’orizzonte. Torri e minareti si elevavano nel centro della valle in arabeschi e figure, lettere serpentine dalle lunghe aste, memorie della primitiva razza che aveva abitato quel mondo, o forse dell’uomo stesso, che aveva intarsiato e scordato le torri rivestite di lapislazzuli, fiori di pietra e geroglifici senza più significato.
Anche le pareti della montagna, sui due lati, tradivano quel ricordo, con quadri di roccia più oscura, grotte e caverne inaccessibili, figure divine di pietra e di metallo in nicchie altissime, volti e corpi verdi sul ciglio dell’orizzonte. Il deserto si apriva senza sosta, le lastre di pietra del canale si congiungevano l’una con l’altra in ombre profonde, angosciose, tracce serpeggianti limitate dalle pareti della montagna, con sommità e vette luminose di torrenti infuocati.
Gli anax incubatori volavano nella luce del cielo, si facevano trasparenti e invisibili, si alzavano nell’aria e scomparivano.
— Attenta — disse Milton guardando la donna. — Io non sprecherò un solo colpo per salvarti. Benché ti abbiano fatta di ferro, più che di carne, quando avranno fiutato il tuo odore nessuno riuscirà più ad allontanarli. Ho pochi colpi per sprecarne anche uno solo. Voglio tornare al mio podere per aver tempo di occuparmi di te. Attenta, Agnes, non fare sciocchezze. Gli anax non assalgono l’uomo. Lasceranno stare anche il bambino e lui, meglio che nulla, potrà badare agli animali e coltivare i campi... Ma quando quegli insetti avranno fiutato il tuo odore, il tuo ventre vuoto, non ci lasceranno più in pace.
— Milton — rispose la donna — fermiamoci, te ne prego. Bismark è troppo stanco per proseguire.
L’uomo si volse. Bismark aveva perso il passo, zoppicando sulla sabbia rovente. I suoi piedi inciampavano a ogni nuovo ostacolo e guardava l’uomo in silenzio, il volto illividito dalla disperazione, i lembi della vestaglia troppo larga che strisciavano per terra, dietro i calcagni. Il petto ansava, la bocca, rigata di sudore, si apriva in una smorfia di fatica.
— È un bambino — disse Agnes fermandosi per aspettarlo. — Anche se è fatto di carne e di ferro e il suo corpo non crescerà mai è solo un bambino. Fermiamoci, Milton. Bismark, in silenzio, giunse a loro. La donna lo strinse a sé. La testa del piccolo si posò contro il suo fianco e gli occhi si chiusero.
Milton guardò l’uno, poi l’altra. Il volto si fece cupo, gli angoli delle labbra si piegarono verso il mento. Bismark aveva riaperto gli occhi e ricambiava lo sguardo.
— Maledetti robot! — disse girandosi.
Ripresero il cammino sul deserto.
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