La busta, gialla e quadrata, giunta con la posta della sera, portava l’intestazione del Centro Tecnico Attitudinale e Guido capì subito di cosa si trattava.

Per un po’ rimase a soppesarla, passandosela da una mano all’altra. L’aveva attesa con tanta trepidazione per più di quindici giorni, e ora che finalmente era giunta non sapeva decidersi ad aprirla.

Si accorse che le mani gli tremavano. Nervosamente cercò il pacchetto delle sigarette e prese a camminare su e giù per tutto l’androne. Poi, arrestandosi all’improvviso, tirò il cordoncino di seta che consentiva l’apertura della busta.

Guido Alberici

N.R. 205047548 Roma 15 (224)

Oggetto:

Concorso 5/692 relativo al bando del 4 gennaio 2278

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Siamo lieti d’informarla che l’esame fisico e attitudinale da Lei sostenuto presso il ns. Centro Diagnostico ha ottenuto esito positivo.

Pertanto la S.V. è ammessa alle prove scritte che si svolgeranno il 20 c.m. (ore 9 a.m.) presso la Sede Centrale, 14° piano, aula 13.

Il Centro Tecnico Attitudinale.

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Guido trattenne a stento un urlo di trionfo e si precipitò all’ascensore. Era occupato. Pigiò tre o quattro volte sul pulsante di chiamata, inutilmente. Alla fine, ormai in preda all’impazienza, salì per la scala di corsa, facendo i gradini quattro alla volta, il cuore che  batteva come un maglio. Dinanzi alla porta del suo appartamento non perse tempo a cercare le chiavi e cominciò a picchiare come un forsennato.

— Che ti succede? — disse la moglie quando aprì la porta e se lo vide davanti trafelato come un cane. — Sei impazzito?

— Sì, Marisa, sono impazzito! — Agitò la busta come un trofeo, la gettò in aria e abbracciò la moglie.

— Che ti prende, Guido. Di’ un po’, per caso...

— Sì, sì! — gridò Guido incapace di tenere a freno la gioia. — La risposta del C.T.A. è arrivata. Sono ammesso!

Marisa si mise a piangere, poi a ridere. All’improvviso, il suo volto si oscurò. — Ci sono ancora le prove scritte — disse. — Guido, ho paura...

— Macché! Una stupidaggine. Comunque, sai bene che ho studiato molto, ultimamente.

— Sì — disse Marisa in un soffio. E si strinse ancor più al petto del marito. — Guido, sono tre mesi che non usciamo. Vuoi farmi un regalo grosso grosso? Portami a cena fuori, stasera.

— Fuori?

— Sì. Staremo insieme, ho voglia di svagarmi. E poi parleremo della casa nuova del bambino, del nostro avvenire...

Guido sembrò esitare un attimo.

— Cosa c’è?

— Niente. Avrei voluto riguardare i miei appunti. L’esame è fissato per il 20 di questo mese, alcune parti del programma sono ancora oscure e io...

— Domani, tesoro. Avrai tempo domani, e dopo. Questa sera ti sequestro, ne ho tutto il diritto.

— Sì, ma... E Danny? Da un po’ di tempo non dorme tranquillo. Non possiamo lasciarlo solo in casa.

— L’affideremo alla signora Firmani. Non ci negherà questo favore.

Gli passò una mano sui capelli, glieli scompigliò con un gesto morbido e rapidissimo. — Vado a prepararmi — disse.

In fisica si sentiva pronto. La materia gli era sempre piaciuta, aveva avuto ottimi insegnanti e la fortuna di studiare su testi abbastanza chiari. Anche in matematica generale se la cavava egregiamente. Il calcolo delle probabilità, poi, era il suo forte. Dove stentava alquanto era in topologia, nelle geometrie non euclidee e in astronautica. Elettronica e fisica relativistica potevano rappresentare un ostacolo insormontabile, ma con un pizzico di fortuna ce l’avrebbe fatta.

La testa gli scoppiava. Il letto era un sudario di spilli, avvertiva una miriade di punzecchiature sulle braccia, sulle gambe, sul collo. Anche il respiro di Marisa era intollerabile.

Ritirò le gambe, si tirò su, seduto.

— Guido, — si lamentò la moglie. — Ma che fai, non dormi?

— Macché. E poi, è quasi l’alba. Ora mi alzo.

Marisa non riuscì a trattenerlo. — Mi alzo anch’io, — disse. — Ti preparo il caffè.

Trascorse le ultime ore in una passeggiata leonina, su e giù per la gabbia della stanza. Di tanto in tanto si arrestava accanto al tavolo, si lasciava cadere sulla sedia e sfogliava i libri. Niente. Non ricordava niente. Fisica, equazioni, geometria... Un caos. Allora si passava le dita sul labbro superiore, dove un umidore freddo non accennava mai a prosciugarsi, e di scatto si rialzava.

Su e giù, su e giù, con passi cadenzati, lenti, pesanti.

Si vestì con più di un’ora d’anticipo, meticolosamente. Marisa preparò la colazione: uova, prosciutto e un altro caffè nero. Ma lui sentiva in fondo alla gola un nodo secco, fastidioso, come la presenza d’un corpo estraneo.

A stento poté trangugiare un sorso di caffè. Marisa gl’indirizzò una lunga occhiata di disapprovazione.