Abitanti, cittadini, proprietari, affittuari, homeless, sfrattati, aprite gli occhi e sturate le orecchie: l’universo immobiliare è in fermento. È vero che oggi, nel 2020, tutti i cambiamenti continuano ad essere in peggio, ma non disperate. Ogni medaglia ha il suo rovescio. Sappiate che sta nascendo la casa - anzi più che una semplice casa - su ruote. È un fenomeno nuovo, rivoluzionario. Tutto incominciò verso il 2015, allorché una nota ditta di mobili prese a produrre e commercializzare case in legno, prefabbricate e dotate di tutte le necessità domestiche: mobili, tubazioni idriche, impianto elettrico a norma di legge, impianto per il gas, fogna, o almeno fossa igienica, predisposizione per collegamenti in Internet, e così via. I materiali erano solidi, ecologici, riciclabili, respingevano il freddo e il caldo eccessivi, la manutenzione costava poco, e anche il prezzo globale era ragionevole: tre vani, accessori, impianti e mobilio essenziale costavano sui 50 mila euro, eventualmente a rate trentennali.
Ma l’azienda costruttrice aveva progetti grandiosi, per cui prese contatti con esponenti governativi. Non si trattava di produrre case singole o villette a schiera, ma di creare veri villaggi, anzi paesi, anzi città. D’altronde, la casa diveniva sempre più un bene inaccessibile a molti, per il lievitare dei costi e per mancanza di fondi governativi da destinare all’edilizia popolare. Allora la gente cominciò ad attrezzarsi da sé.
È nato così il villaggio prefabbricato: stile moderno, sobrio; costruzioni di massima efficienza; costi accessibili. Questi villaggi diventano una moda; l’idea si diffonde. In Italia e all’estero la situazione del mercato immobiliare tradizionale è la stessa: carenza di vani, prezzi alle stelle. Ma dopo un po’ qualcuno ha un’altra idea: perché non dotare anche di ruote queste case? Sissignore, ruote e un motore. L’idea è un po’ pazza, ma incomincia a vedersi qualche abitazione che se ne cammina tranquilla sulle autostrade, senza troppa fretta, alla ricerca di nuovi lidi. Giornali e tv ne parlano, diventa una soluzione usuale. Una moda. Sorgono interi villaggi mobili. Immaginate un villaggio di mille case, 3 o 4 mila abitanti, che costituisca un vero e proprio comune, o una frazione di un comune, e abbia un nome, per esempio PiccolaBari. Può capitare che un bel giorno PiccolaBari voglia andarsene sulle coste della Versilia, e si accordi con le autorità regionali del luogo. Per un gemellaggio. O che decida di farsi una vacanza al nord, o parta per l’estero. Immaginate centinaia di case su ruote, in cammino per le autostrade. Case che in fila e ordinatissime attraversano monti e valli. Paesi mobili che magari subiscono anche assalti da parte di malintenzionati. In ogni città su ruote ci sarà un organismo deputato alla difesa cittadina. E ci saranno negozi, uffici, banche, lavoro, denaro circolante. Così le città attraverseranno nazioni e interi continenti, nascerà una nuova era, il casalingo sedentario diventerà nomade. E tutti noi baresi ricorderemo di quando Bari andò a Milano.
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