Il prequel dell’intera saga degli X-Men è un’operazione molto interessante e riuscita che mette insieme la cura del produttore (e regista dei primi due capitoli) Bryan Singer al talento del filmmaker britannico Matthew Vaughn reduce da film interessanti come Stardust, Kick Ass e The Pusher.
Il tema ‘singeriano’ per eccellenza dei primi due film ovvero quello della riflessione sul significato della diversità, è il nucleo centrale di questa pellicola: Vaughn, addirittura, del primo film riprende quasi integralmente la commovente scena del bambino ebreo non ancora diventato Magneto che esprime il dolore per la separazione dai suoi genitori, distruggendo il cancello che lo separa da essi in un campo di concentramento.
In più, si racconta ed analizza il rapporto di amicizia tra i due amici – nemici, il professor X e Magneto, interpretati rispettivamente da due ottimi attori come James MacAvoy e Michael Fassbender che, tra l’altro, hanno anche il grande merito di riuscire a non fare rimpiangere Patrick Stewart e Ian McKellen che per primi avevano donato il loro carisma a questi due personaggi.
X-Men: L’inizio è, dunque, una piacevole sorpresa dove Vaughn racconta la nascita del supergruppo di personaggi Marvel, sfruttando il contesto politico della Guerra Fredda e, in particolare, della crisi dei Missili di Cuba e avvalendosi dell’immaginario sexy e glamour degli anni Sessanta.
Più vicino, quindi, alle atmosfere dei primi 007 che a quello tradizionale del cinema legato ai supereroi, gli X-Men tornano in una storia corale in cui il tema della diversità e delle differenze evolutive tra gli esseri umani e i mutanti mostra tutto il suo peso e spessore.
Una ‘favola’ dell’Era atomica, in cui il cinema di genere diventa la cartina di tornasole perfetta per raccontare gli incubi inquieti della Shoah, la paura del comunismo, la caccia alle streghe e la scoperta della possibilità di un ‘nuovo mondo’.
Divertente e carico di humour, il film brilla per essere espressione e sintesi di un cinema commerciale con la vocazione autoriale in cui la storia di un gruppo di eroi riluttanti diventa lo specchio di un’intera epoca e società in transizione.
Una pellicola divertente e intelligente, forse la migliore dell’intera tetralogia, che sexy, elegante e densa di humour sfrutta un buon cast per dare vita ad un film intrigante di cui memorabili sono una serie di battute e situazioni come la battaglia a Cuba proprio nel cuore della crisi tra Usa e Unione Sovietica, gli abiti succinti di January Jones e il cameo breve, ma significativo di Hugh Jackman nei panni di Wolverine.
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