- Prepara la sonda, presto - ordinò, con gli occhi puntati sullo strumento, aveva dunque trovato la testa del drago? Finalmente!Premetti un pulsante e dall'attrezzatura che reggevo in braccio fuoriuscirono le zampe: un treppiede. Uno sportello oscillò di lato, liberando alcuni comandi.- Fai veloce che sta arrivando!- Sì - borbottai, premendo rapida la sequenza che avevo memorizzato. Stantuffi dal rumore simile a un colpo di tosse inchiodarono le gambe a terra. Un'antenna uscì dalla sommità della valigia, seguita da altre due uguali.- Presto, o ci spazzerà via - si avvicinò Shara, scostandomi di lato per incastrare lo spettrometro in un alloggiamento apparso ad arte.
Ma all'improvviso il cielo si oscurò senza alcun ritegno e grandi ali diafane ci avvolsero, perdendosi all'infinito. La testa del drago brillava alta su di noi. Un intero mondo di polvere si era appena delineato nella sua forma più terribile: gigantesco, il più grande esemplare che avessi mai visto, e le sue fauci, terribili e impietose, si serrarono con violenza, in uno schianto profondo come l'eternità.
- Shara - gridai aprendo gli occhi, disperata.
- Tranquilla, era solo un incubo. - La delicata mano del capitano mi sfiorò con dolcezza sull'avambraccio, trasmettendo un senso di pace e serenità. Gli occhi azzurri di lei mi fissavano da dietro le lenti, colmi di silenziosa comprensione.
Di nuovo lo stesso sogno, da un anno a questa parte: lo stesso ricordo.
Mi guardai attorno, alcune degenti della Stazione si erano voltate verso di me, allertate. Adesso però stavano ricominciando a parlare coi loro capitani.
Tutti uguali, i capitani, e non avevano neppure nome: nessun capitano aveva un nome, faceva parte della loro deontologia. Non erano nemmeno umani, ma androidi.
- Sempre lo stesso? - chiese il mio, aggiustando con calma gli occhialetti rotondi sul naso sottile, ma la fronte era aggrottata in un cipiglio perplesso. Era la mia guida nel viaggio di ritorno su Marte. Erano passati dieci anni, per me, da quel giorno.
Trenta per Shara, colpa della velocità luce.
Come avrebbe reagito alla mia vista? E nostra figlia? Ormai era adulta.
- Sì, lo stesso - ammisi.
- Vorresti raccontarmi le tue sensazioni? - chiese il capitano, ogni volta ripeteva la stessa domanda, erano ormai dieci anni che mi aveva in terapia. Dieci anni, da quel terribile incidente: eravamo quasi morte per colpa del drago. Ma solo io ero stata contaminata, infettata da un'esistenza di un altro piano: un sogno, un drago dei venti di Marte. Mi avevano spiegato che l'energia liberata nell'impatto aveva fatto oscillare il mio confine individuale, trasformando la mia stessa mente in un Denso-Visore. Per questo avevo iniziato a vedere mostri e folletti. Vedevo anche i pensieri delle persone seguirli, come cani fedeli, o aggrapparsi alla loro testa come edere. Talvolta erano delle piccole creature aggraziate, altre abomini deformi. Scorgevo spiritelli e fate nel fumo di una sigaretta e lubriche figure che si contorcevano in spasmodici orgasmi nelle fiamme del camino. Per questo mi avevano spedita difilato alla Stazione, l'unica clinica dove potessero decontaminare dai sogni.
- Lyra, raccontami le tue sensazioni - ripeté il capitano. Mi ero ristabilita ormai da almeno un anno, ma ogni tanto perdevo ancora il filo dei pensieri, in un baratro di incertezze. Soprattutto quando sognavo quel momento.
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