Talvolta rimaniamo sospesi sul baratro del giudizio, incapaci di afferrare l’esatto istante in cui abbiamo compreso che ogni cosa stava cambiando, che tutto ciò che avevamo avuto fino a quel momento sarebbe presto svanito, perduto per sempre.
Così fu per me quel giorno, mentre la monotona superficie di Marte era spazzata da venti impetuosi e inondata da microscopici granuli di polvere che si infilavano dappertutto. Definire inospitale quell'arido pezzo di pietra rossa, gettato nello stagno dell'universo, era fargli un complimento. Soltanto i sogni della polvere ci vivevano. I sogni della polvere e del vento, rivelati solo dalla tecnologia del Visore.
Le guglie della città di Aresa si stagliavano, lontane, sfidando la solitudine del deserto e la furia degli elementi: monoliti della disperata colonizzazione del pianeta, cupole geotermiche come quella dalla quale ci eravamo allontanate per cacciare.
- Shara, - mormorai scostando dal Denso-Visore l'ennesima mosca di sabbia, - mi controlleresti il respiratore? Credo che un serpente di polvere si sia infilato nel filtro.
La figura di lei, avvolta nella bianca tuta degli esploratori, mise per un attimo da parte lo spettrometro, quindi saltellò rapida al mio fianco e cominciò ad armeggiare con ostinata esperienza. - Guarda che qui è tutto a posto, Lyra! Ti stai lasciando suggestionare dalle immagini del Visore... sono solo sogni.
- Lo so, ma non ci sono abituata. Odio questa polvere! - digrignai.
Odiavo anche interromperla mentre lavorava, ma dall'attrezzatura che mi aveva affidato non potevo staccare una mano che per pochi secondi o sarebbe caduta a terra.
Era una specie di valigia dalla forma ellissoidale, e pesava un sacco.
- E allora smettila di seguirmi qui fuori!
- Ti amo troppo per farlo.
La vidi sorridere, dietro alla plastica traslucida del Visore, ma non aggiunse nulla. Shara era fatta così, il suo modo di amare non era a parole, ma a gesti. Anche se, da quando era rimasta incinta, stava diventando più gentile. Mi assicurò un delicato buffetto al casco poi si voltò: qualcosa aveva attratto la sua attenzione.
Mi guardai attorno. La polvere vorticava, trasmutando in sagome evanescenti: sogni che il Visore di densità identificava. Volti proto-umani ci osservavano, celati da piccoli boschetti incolori. Creature simili a daini fuggivano in lontananza. Una specie di folletto mi saltellava attorno ai piedi. Sapevo che non poteva vedermi, perché non eravamo sullo stesso piano: lui era nel vento, io no. Ma era comunque strano.
Alcune figure fuggirono d'improvviso, sparpagliandosi in ogni direzione, le vesti scosse dalla tempesta che si stava alzando, intrisa della polvere che ci circondava. Un guerriero in groppa a un cavallo mi sfrecciò accanto, sollevando al cielo una lancia e gridando qualcosa di indistinto.
La polvere saliva sempre più alta, smossa dalle ali di immensi draghi.
In fondo era a questo che io e Shara davamo la caccia: draghi, grossi ammassi di particelle scatterate in traiettorie legate dal caso, o così almeno li definiva lei quando mi spiegava che era la loro massa collettiva a torcersi e a creare le tempeste di sabbia che intasavano i filtri dei respiratori.
Shara stava camminando adesso con lo spettrometro alto. Sembrava che evitasse apposta di calpestare le piccole creature che scappavano terrorizzate ai nostri piedi; figlie di refoli cui non avremmo comunque potuto fare niente. Cosa stesse misurando però non lo sapevo: era lei il genio, io solo un'aiutante che l'amava tantissimo.
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