Cronkite amava l’avventura nello spazio almeno quanto Richard. Ed era l’uomo che vi si era avvicinato di più senza farne parte.

A Richard non piacevano le immagini simulate. Era impossibile filmare l’Apollo 8 durante il viaggio, quindi qualche povero figlio di puttana faceva dei disegni.

All’epoca lui, come il resto del paese, era concentrato sulla zona LOS, la zona di assenza segnale ;;sulla faccia in ombra della Luna. Se gli astronauti l’avessero raggiunta, sarebbero entrati in orbita lunare, a sessantanove miglia dalla superficie della Luna. 

Ma la grande massa degli americani non avrebbe saputo se avevano avuto successo fino alla loro uscita dalla zona LOS.

La zona LOS spaventava tutti. Anche il papà di Richard, che di rado ammetteva di esserlo.

Il padre di Richard, insegnante di scienze e matematica al liceo, il 21 dicembre, il giorno del decollo dell’Apollo, si era seduto a fianco del figlio e gli aveva spiegato, quanto meglio poteva, la meccanica orbitale. Aveva mostrato a Richard le equazioni, e provato a spiegare il rischio che correvano gli astronauti.

Una svista matematica, un piccolo errore di calcolo, anche se accidentale, un’esitazione nell’accensione della nave spaziale al momento di lasciare l’orbita terrestre, uno sbaglio di pochi secondi, poteva mandare gli astronauti in un’orbita lunare o terrestre più ampia. Oppure, Dio non volesse, poteva allontanarli dalla Terra e dalla Luna lungo una traiettoria rettilinea verso il grande ignoto, per non tornare mai più.

La madre di Richard pensava che il marito stesse aiutando il figlio a fare i compiti. Quando aveva scoperto il suo vero intento, l’aveva trascinato in camera da letto per uno dei loro litigi sussurrati.

– Cosa pensi di fare? – aveva chiesto. – Ha otto anni.

– Ha bisogno di capire – aveva detto suo padre.

– No, non è vero – aveva replicato lei. – Avrà paura per giorni.   

– E se falliscono? – aveva chiesto mio padre. – Allora dovrò spiegarglielo.

La madre aveva la voce tesa quando aveva obiettato: – Non falliranno.

E invece sì.

Fallirono.

Il Centro di Controllo Missione cominciò ad avere qualche sospetto durante la LOS, ma non lo condivise con gli astronauti, non subito. Richiesero alcune cose, un’altra accensione controllata, sperando che la navicella potesse rientrare in traiettoria, qualche rapporto in più del solito, per registrare su nastro le voci degli uomini quando (apparentemente) erano ancora calmi, ma qualsiasi cosa fecero non cambiò la tragica realtà che gli astronauti non sarebbero tornati sulla Terra. 

Avrebbero fluttuato all’infinito nelle tenebre dello spazio.

E per un po’ di tempo non se ne resero neanche conto. La navicella in sé aveva controlli limitati e nessuna telemetria. 

Gli astronauti dovevano fare affidamento sul Centro di Controllo Missione per tutte le informazioni relative all’orbita, come in effetti per la maggior parte delle informazioni critiche.

In seguito, venne fuori che gli astronauti avevano dedotto il problema quasi  subito, e che avevano cercato di trovare delle soluzioni per conto loro.

Ovviamente, non ne esistevano.

Per questo Cronkite sembrava così teso quella vigilia di Natale, seduto nell’area attrezzata per i corrispondenti dal Centro di Controllo. Cronkite era al corrente che i tre astronauti erano ancora vivi, e che sarebbero rimasti in vita per giorni mentre la loro piccola capsula si dirigeva nelle vastità infinite. Restarono in contatto radio così a lungo che nessuno riusciva a sentirsi a proprio agio, ma siccome erano eroi, non si lamentarono mai.

Parlarono della piatta semplicità della Luna e della bellezza della Terra vista dall’alto. A quanto pareva, su un circuito chiuso, parlarono un’ultima volta alle mogli e ai figli. Fino a quando avessero captato il segnale radio, sarebbero appartenuti alla Terra. Fino a quando fosse durato l’ossigeno. Fino a quando fosse durata la loro speranza.

Era quella che Richard ricordava: la speranza.

Nessuno mandò più in onda il nastro di Lovell, Borman e Anders che parlavano del futuro. Il futuro era venuto e se n’era andato. 

Ciò che i giornalisti, i documentaristi e gli storici trasmisero allora furono gli arrivederci o, se erano più sensibili, le descrizioni della Terra, quanto era bella, piccola e unita.

“È difficile credere” disse Lovell in quella che sarebbe diventata la sua citazione più famosa, “che un posto tanto bello possa ospitare tanta gente arrabbiata. Da lontano sembra che l’intero pianeta sia in pace.”

Ovviamente non lo era.

Ma all’epoca la cosa non interessava Richard.

Ciò che lo preoccupava – che lo spaventava – era che quel fallimento avrebbe portato alla fine del programma spaziale.

Preoccupava anche gli astronauti. Fecero un appello congiunto con quello che era maledettamente vicino al loro ultimo respiro.