Mi metto a mio agio infilandomi un paio di pantaloni larghi e un maglione a collo alto in gore-tex grigio. Devo stare comodo mentre corro contro il tempo e contro i limiti fisici dei miei strumenti. Un caffè prima di cominciare e una bottiglia di integratori di sali minerali da consumare in corso d’opera completano i preliminari. Mi siedo al terminale, configurato in maniera da essere elettromagneticamente compatibile con il mio innesto. I segnali spuri generati da sorgenti elettromagnetiche esterne vengono filtrati pressoché totalmente, per quante poche siano le fonti di disturbo in questo luogo. Scrivo verbali di consigli di amministrazione mai avvenuti della RIC e della società dei depuratori, falsifico contratti e avallo garanzie mai concesse dalle grandi compagnie bancarie. È necessario preparare una documentazione accurata che non dia adito a dubbi circa la legalità della trattativa. Ci sono in gioco diversi milioni di dollari e anche qualcosa di molto più importante: se i servizi segreti riuscissero a cogliermi con le mani nel sacco non ci penserebbero due volte a sbattermi in cella per il resto dei miei giorni. In fondo sinora ho fatto a quei cani da guardia più di qualche sgarbo e per loro liberarsi di me sarebbe come sbarazzarsi di una zecca appiccicata alla palpebra di un occhio da anni.Per questo devo essere scrupoloso, sotto il profilo burocratico e non. E devo essere veloce: ho solo tre giorni per concludere tutta questa faccenda.
Interfacciando il terminale all’innesto posso guadagnare tempo: arrivo a trasferire gli stupefacenti digitali crittografati con picchi di venti petabit per secondo.
“Peta” è un prefisso che indica una moltiplicazione per dieci alla quindici: un peta equivale a un milione di giga, ovvero un milione di miliardi di bit per secondo.
Una velocità sufficiente a permettermi di finire puntualmente il lavoro senza lasciare tracce agli agenti segreti di mezzo mondo, ma non a esentarmi dal passare le prossime due notti in bianco.
Nella migliore delle ipotesi troverò tre o quattro ore in tutto per dormire. In tal caso, certamente sognerò…
Soglie
Sto fluttuando in un alveo oscuro ed evanescente. Non ho punti d’appoggio, posso soltanto orientare il galleggiamento agitando gli arti. Ma costa fatica: sono immerso in un mezzo molto denso, entro il quale tutto pare muoversi a rilento.
Mi guardo attorno, per verificare se c’è qualcosa di distinguibile in questo spazio buio, e dopo un po’ scorgo un fascio di luce. Dev’essere molto sottile e lungo. Non riesco a vedere nessuna delle due estremità del fascio, ammesso che non sia infinito.
Una percezione indefinibile mi induce a voltarmi: c’è un altro fascio lucente dietro di me.
“Ok” mi dico, “sono tra le due soglie.”
Un attimo dopo, però, mi accorgo che le due linee luminose si stanno muovendo lentamente verso di me.
Con un colpo di reni spingo la mia fluttuazione verso l’alto. Combatto contro il peso specifico dell’ambiente e con un paio di bracciate mi sposto di qualche metro.
Mi volto ancora: niente da fare, le soglie sono sempre lì, quasi non mi fossi mosso affatto.
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