Per quanto riguarda Faramir, figlio del Sovrintendente di Gondor (che compare “in anteprima” in questo film solo in un flashback nell’edizione estesa, non in quella cinematografica, insieme a Boromir), gli sceneggiatori accentuano il conflitto famigliare che emerge anche nel Signore degli Anelli, laddove Farmir è il figlio negletto di Denethor, messo in secondo piano rispetto al più eroico e determinato Boromir. Anche se il rapporto tra padre e figlio sarà esplorato più in profondità nel Ritorno del Re, già ne Le Due Torri viene a più riprese lasciato intendere. Con Faramir, il film compie la sua principale divagazione rispetto al dettato tolkieniano. Dopo aver catturato Frodo, Sam e Gollum nelle terre contestate dell’Ithilien, infatti, Faramir conduce i prigionieri verso Gondor. L’attrazione che Faramir prova nei confronti dell’Anello, un’attrazione che nel romanzo è fulminea nel sorgere e nel tramontare, a sottolineare la differenza con il suo defunto fratello maggiore, diventa invece nel film ben più lunga e pericolosa. Il capitano di Gondor non esita a condurre i tre verso la capitale del regno, per adempiere al volere del padre: “Un’occasione per Faramir, capitano di Gondor, di mostrare le sue qualità”. La frase assume una sfumatura diversa nella trasposizione rispetto all’originale, dove aveva invece una chiara intonazione retorica, faceva intravedere un progetto che il virtuoso Faramir abbandonava subito; nel film, invece, giustifica la decisione di portare i prigionieri a Minas Tirith. Sarà tuttavia tra le rovine della città di Osgiliath, dove convergono i Nazgul attirati dal potere dell’Anello, che Faramir si renderà conto del proprio errore e deciderà di liberare Frodo, Sam e Gollum, pur consapevole di incorrere nell’ira del padre. “Se Faramir avesse mostrato disinteresse, l’Anello avrebbe perso la sua aura”, ha spiegato Jackson, giustificando così la forzatura.Le altre linee narrative divergenti dal romanzo sono poche e di scarsa rilevanza: l’irruzione dei Mannari sul percorso dei profughi di Rohan che fuggono verso il Fosso di Helm; la conseguente caduta di Aragorn, di cui si teme la morte, finché Arwen in sogno riesce a fargli recuperare i sensi; la partenza della stessa Arwen da Gran Burrone per i Porti Grigi, ordinata da Elrond, ma interrotta dalla dama elfica dopo aver avuto una visione di speranza sul futuro (senz’altro la scena più valida e poetica tra quelle ‘posticce’).
In fin dei conti, il vero fulcro della pellicola è la battaglia del Fosso di Helm, mentre la sconfitta di Saruman rappresenta l’anticlimax – e gli Ent, che ne sono gli artefici, si rivelano creature barbose esattamente come nell’originale (benché Tolkien avrebbe forse avuto un fremito di piacere nel vedere realizzato il suo sogno di una foresta che marcia contro la barbarie dell’industria). È il capolavoro di Peter Jackson. Per realizzarla fu messa a punto una tecnologia ex novo, battezzata “Massive” (Multiple Agent Simulation System In a Virtual Environment): un programma in grado di gestire intelligenze virtuali nel corso di una battaglia enorme come quella de Le Due Torri, simulando gli scontri tra le diverse fazioni, nelle più diverse maniere, grazie a una potente intelligenza artificiale. È così che è stato possibile dare verosimiglianza a uno scontro che avrebbe previsto, altrimenti, migliaia di comparse o brutti effetti di clonazione al computer. Ciò non ha impedito di avere anche scontri “reali”: in tutto sono stati utilizzati trenta stuntman, di cui sei specializzati nel cadere dalle mura (otto-nove metri di altezza reale).
Lo spaventoso coro degli Uruk-hai che assediano il Fosso fu invece registrato dai tecnici del suono guidati da Jackson nell’intervallo di una partita di cricket, con il regista che dirigeva il folto pubblico dello stadio.
Mentre gli Uomini festeggiano la vittoria sulle armate di Saruman, ormai sconfitto, l’ennesimo monologo schizofrenico di Gollum lascia intravedere l’imminente tradimento. Ma la scena di Shelob, climax della seconda parte del romanzo, viene rimandata al film successivo. La tensione, aveva forse pensato Jackson, era ormai anche troppa.
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