Quando Bioware si è lanciata nell'avventura di Dragon Age, non ha voluto scimmiottare le ambientazioni più conosciute, con cui ha avuto a che fare per anni, ma dar vita a un proprio universo fantasy, che offrisse uno sguardo alternativo al genere. In quella specie di verismo fantastico che caratterizza il videogame si riflettono, tra mito e realtà, problemi e contraddizioni della società di oggi. Prendete gli elfi, per esempio. In Dragon Age non sono più le creature leggendarie di un tempo, non sanno nemmeno con sicurezza se siano mai stati una razza di semidei immortali, di certo non lo sono adesso. Qualcuno, nei boschi, sogna ancora la gloria degli avi, ma la maggioranza vive di stenti, emarginata nei sobborghi delle città, refrattarie ad accogliere chi è diverso. Stessa sorte tocca a coloro che sono nati con la macchia della magia, perseguitati non tanto per quello che fanno, quanto per quello che potrebbero fare. L'uomo del mondo infestato dai demoni di Dragon Age ha enorme paura di tutto ciò che non comprende.
Proprio la dialettica tra maghi e templari, che incarnano questa estrema diffidenza, in parte avvalorata dagli eventi, è al centro della trama di Dragon Age II. Dopo aver presentato, in Dragon Age: Origins, un affresco ad ampio respiro dell'immaginario continente medievale di Thedas tramite la storia di come il regno del Ferelden si oppose alla piaga del quinto Flagello, un prologo che serviva anche e soprattutto a fissare i punti cardine dell'ambientazione, con il secondo videogame Bioware spalanca le porte della grandiosa epopea destinata a svilupparsi su più capitoli. Dragon Age II si svolge a Kirkwall e dintorni, una città stato dell'Est, sulla costa dei Liberi Confini, territorio indipendente a Nord del Ferelden. Il nuovo protagonista, appartenente alla razza degli uomini e di cui si può decidere sesso e classe tra guerriero, ladro e mago, è un rifugiato scampato con la famiglia alla guerra raccontata in Origins. All'inizio si possono scegliere tre scenari predefiniti, in base a come si preferisce pensare si sia concluso il conflitto, oppure importare direttamente il proprio salvataggio, che influisce su assetto politico, situazioni e personaggi che si andranno a incontrare, a seconda di come si è agito nel gioco originale e nelle relative espansioni.
Ci sono parecchi riferimenti, alcuni anche importanti rimandano all'appendice Awakening ma, pur partendo da quanto creato con Origins, Dragon Age II apre a tutti gli effetti un nuovo capitolo della saga se non, appunto, la saga stessa, lasciando dopo i titoli di coda il desiderio di scoprire come continuerà la storia, o sarebbe meglio dire le storie del continente di Thedas. Sibillinamente, non tutte le domande trovano risposta. Soprattutto, però, nonostante l'avvio lento, le vicende che, insieme a un'eterogenea compagine di elfi, nani, maghi, soldati, piratesse, ci vedono protagonisti in Dragon Age II sono destinate a segnare in maniera profonda il mondo del gioco in un crescendo entusiasmante che fa venire la curiosità di conoscere cosa potrà accadere in seguito.
Appena sbarcato a Kirkwall, l'eroe ha di fronte una città chiusa a riccio, a causa dei grossi flussi migratori, ma sappiamo già che verrà ricordato per una qualche impresa, perché la storia scorre in forma di noir, nel racconto di uno dei suoi compagni d'avventura. Al di là dei divertissement stilistici, l'impostazione è legata concettualmente a doppio filo alla prospettiva che, in Dragon Age II, si sposta da quella tipicamente spaziale a una temporale. Il viaggio non inteso più come esplorazione di lande lontane, ma attraverso il tempo, in particolare il periodo di permanenza a Kirkwall dello straniero che divenne campione. Si tratta di una scelta dettata probabilmente anche da esigenze produttive, che ha permesso di risparmiare sul numero di scenari da realizzare per il videogame e che poteva essere sfruttata meglio, mostrando in modo esplicito i cambiamenti della città nel corso degli anni ed evitando di riciclare all'infinito, come invece avviene, la manciata di sotterranei. Bioware è riuscita comunque a fare di necessità virtù e, quello che non si coglie esteriormente, lo si gode sul lato narrativo.
La storia di Dragon Age II ha un carattere personale distante dall'epica fantasy più classica di Origins. Si fonda sui legami. Più intimamente dello scontro sociopolitico tra le correnti che fanno capo a maghi e templari, la vicenda affronta i grandi temi della casa, degli affetti, della famiglia, e per farlo ha bisogno di mettere radici. Come in Mass Effect 2 o Neverwinter Nights 2, entrambi incentrati sul rapporto tra i personaggi, così in Dragon Age II, che prosegue quel discorso, la trama principale si intreccia indissolubilmente alle vicende private dei suoi protagonisti. Per certi versi, più che gli eventi epocali di cui si è testimoni, sono queste apparenti divagazioni personali il cuore di un racconto trasversale che si compie a lungo termine e, nella tradizione Bioware, sa far ridere e commuovere, arrabbiare ed esaltare, in uno dei più appassionanti ricettacoli di emozioni digitali, con tutti gli elementi giusti del buon intrattenimento, dall'azione all'ironia, al romanticismo.
Mentre Dragon Age: Origins conservava un'affinità strutturale con i vecchi giochi di ruolo per computer, Dragon Age II batte la strada del ritmo filmico intrapresa da Mass Effect. Da un punto di vista il progetto è stato ridimensionato e ci sono palesi semplificazioni, basta aprire il nuovo diario votato all'essenziale e confrontarlo con quello completissimo del precedente. Le missioni si risolvono nell'andare da un luogo all'altro della mappa, combattendo durante il tragitto, con un sistema che rievoca in una sanguigna chiave hack & slash proprio la ruota di Mass Effect (insieme agli ordini e alla pausa, si possono in più impostare strategie e controllare direttamente i compagni). Rimane una cospicua selezione di armature, armi ed equipaggiamento per il protagonista (limitata ai secondi per gli altri personaggi).
La natura ruolistica del gioco si compie tuttavia soprattutto per mezzo dei dialoghi a scelta multipla che compaiono a ogni occasione. Anch'essi una rielaborazione del menu circolare introdotto da Mass Effect, consentono di far evolvere in una direzione piuttosto che in un'altra non solo la storia principale, ma anche quelle collaterali, che hanno pari dignità rispetto alla linea narrativa centrale e regalano alcuni dei momenti più riusciti di tutto il videogame. Spesso non si tratta di decisioni facili e le varie opzioni, oltre a portare con sé diverse conseguenze che ci incastrano vicendevolmente, a seconda di come si risponde e di chi si ha nel gruppo (tre personaggi tra quelli disponibili più l'eroe) possono modificare in maniera decisa determinati frangenti, aspetto che fa capire quale peso abbia il racconto interattivo nella nouvelle vague del gioco di ruolo Bioware. Persino le chiacchiere, ora, sono indicate sul diario come missioni effettive. D'altro canto, la magia di Dragon Age II sta proprio nell'autenticità dei suoi personaggi e delle loro relazioni, vera anima di un'opera che spinge il fantasy verso quella verve cinematografica consacrata nella fantascienza da Mass Effect e che esprime, più che un dispetto agli integralisti della vecchia guardia, l'ideale punto di incontro su console tra la scuola occidentale dei giochi di ruolo e l'accurata regia dei jrpg alla Final Fantasy.
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