Quando nel marzo del 2009 andò in onda l’ultimo episodio di Battlestar Galactica, l’emittente che lo mandava in onda era nel mezzo di un cambiamento e nel contempo si ritrovava ad essere orfana di una delle sue serie tv più seguite.
Ma SciFi Channel stava diventando Syfy e desiderava aprirsi a un pubblico più vasto dei soli appassionati di fantascienza, motivo per cui, mentre voleva capitalizzare sul successo di BSG, intendeva anche realizzare un prodotto che fosse in grado di attirare un pubblico usualmente avulso dal genere e che ancora meno conosceva il mondo di Galactica, quantomeno nella versione di Ronald Moore.
Nacque così l’idea di una serie prequel, ambientata 58 anni prima degli eventi narrati nella serie originale, con ambientazione e atmosfera completamente diverse.
Un esperimento che, come vedremo, si rivelò tanto interessante quanto non perfetto.
Il casting venne effettuato cercando volti che fossero più cinematografici che non televisivi, così come il tono della serie voleva avere il respiro e la resa visiva di un film di alto livello.
Venne così scelto Eric Stoltz per il ruolo di Daniel Graystone, il cui lavoro avrebbe cambiato per sempre il futuro delle colonie, mentre come contraltare venne scelto Esai Morales, che sarebbe stato il padre del mitico William Adama, Joseph. Con loro un'intensa Paula Malcomson, che dava il volto alla moglie di Greystone e soprattutto Alessandra Torresani nei panni di Zoe Graystone, vero motore degli eventi.
Quando Caprica venne presentato, si sprecarono i paragoni con un altro culto della fantascienza, il film Gattaca (1997) che aveva unito abilmente il look Anni Trenta con concetti fantascientifici e una storia in fondo molto umana.
Alla prova dei fatti, escludendo le scelte di styling, il paragone era solo parzialmente corretto: se sicuramente l’aspetto umano era preponderante nella storia, la resa visiva del telefilm era in realtà ipermoderno: ambienti asettici e contemporanei, fotografia nitida e fredda, atmosfera generale più vicina a un film di Ridley Scott che non alla pellicola di Andrew Niccol.
Un modo ambizioso di proporre un telefilm, anni luce dal tono usualmente utilizzato nelle produzioni televisive, fatta eccezione per alcuni casi.
Lo stesso pilot si apre in modo emblematico e in qualche modo rappresentativo di quello che era il piano dell’emittente.
L’inquadratura parte dallo spazio, inquadrando Caprica, per poi spostarsi velocemente sulla superficie del pianeta. O quasi.
Lo spettacolo che si apre davanti ai nostri occhi farebbe la felicità di qualsiasi emittente via cavo: una discoteca caotica in cui una massa di ragazzi urlanti si lascia andare a qualsiasi perversione, che si tratti di sesso, omicidio o anche sacrifici umani.
In questo contesto scopriamo Zoe e i suoi due amici, Lacy e Ben, che dall’alto osservano la scena sotto di loro, ma non sono interessati alla vittima del sacrificio, bensì a un’altra presenza tra la folla: un’altra Zoe. Ma le cose non sono quelle che sembrano e infatti, davanti all’orrendo spettacolo che si apre davanti a lei, la Zoe numero due si volatilizza nell’aria, letteralmente.
I tre si rendono conto che le cose non sono andate secondo i loro piani ma parlano di presto tutto sarebbe cambiato.
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